Raffica di misure anti-Cina negli USA, ecco perché

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In seguito alla pandemia di coronavirus, le rinnovate tensioni tra Stati Uniti e Cina stanno mettendo a repentaglio la fragile tregua raggiunta attraverso l’accordo commerciale preliminare ‘Phase 1’, che aveva interrotto l’escalation dei dazi e introdotto alcune riforme progressive nelle pratiche di mercato cinesi.

Per via delle ricadute economiche del Covid-19, l’amministrazione Trump non può più basare la propria campagna elettorale sull’economia in espansione e la disoccupazione ai minimi storici. Per contro, la Casa Bianca e il Partito Repubblicano hanno identificato nella Cina un bersaglio politico efficace.

Sebbene l’Amministrazione Trump abbia finora considerato Pechino come ‘avversario strategico’, i Repubblicani ora vedono una retorica dura contro la Cina come una strategia chiave per far sì che gli elettori continuino a supportare il Presidente. Di conseguenza, gli investitori ora stanno rivalutando la solidità dell’accordo Phase 1 e si chiedono quali potrebbero essere i prossimi passi normativi.

Una battaglia su più fronti in un mondo sempre più protezionista

L’amministrazione Trump di recente si è mossa in tre ambiti principali legati alla Cina: tecnologie critiche, sicurezza nazionale e protezionismo economico.

Le tecnologie critiche, da tempo una preoccupazione degli USA nelle relazioni con la Cina, sono tornate al centro dell’attenzione. Data la competizione in aree all’avanguardia come il 5G, gli Stati Uniti hanno adottato politiche per proteggere e alimentare il proprio dominio industriale nelle tecnologie di nuova generazione, affrontando allo stesso tempo alcuni problemi di sicurezza nazionale.

Il Dipartimento del Commercio USA di recente ha introdotto normative volte a mettere in sicurezza dalle interferenze cinesi le supply chain di settori come i semiconduttori. Queste norme, insieme alle restrizioni sul gigante telecom Huawei, mandano un chiaro segnale: gli Stati Uniti continueranno ad adottare misure nel tentativo di ottenere un vantaggio tecnologico critico nei confronti di Pechino.

Nel frattempo, il Congresso ha presentato diversi disegni di legge in risposta alla gestione iniziale del coronavirus da parte della Cina e ai recenti sviluppi ad Hong Kong: tra questi, richieste di risarcimento e indennizzo nei confronti di persone legate alla risposta alla pandemia, la rimozione dell’immunità sovrana di Pechino e provvedimenti riguardanti l’erosione dell’autonomia di Hong Kong e le protezioni accordate al Tibet. Pur essendo improbabile che molte di queste proposte diventino legge, esse indicano un chiaro trend legislativo destinato a proseguire anche oltre il 2020.

Il ‘rimpatrio’ delle supply chain prende piede

Il Coronavirus ha anche rilanciato le discussioni sul ‘rimpatrio’ delle catene di approvvigionamento, a partire proprio da quelle essenziali nella lotta alla pandemia.

Il Congresso e la Casa Bianca stanno sviluppando attivamente pacchetti di incentivi volti a incoraggiare certi produttori di dispositivi di protezione individuale e altre forniture mediche a riportare la produzione negli USA, e in generale per attrarre ampie fasce di produzione industriale.

Il rimpatrio di interi settori richiederà decenni di supporto continuo da parte del governo e di pianificazione strategica da parte delle società, indipendentemente dall’industria. Tuttavia, ci aspettiamo che questo processo proseguirà anche nel corso della prossima amministrazione, chiunque sarà il Presidente.

Le mosse degli USA potrebbero portare al delisting di alcune società

Gli Stati Uniti hanno riconosciuto nei mercati finanziari un altro ‘campo di battaglia’ contro la Cina, per ragioni legate sia alla sicurezza nazionale che al libero mercato. Per anni, il Public Company Accounting Oversight Board (PCAOB) ha segnalato difficoltà di accesso per ispezioni e investigazioni nei confronti delle società quotate cinesi. Per rafforzare la capacità statunitense di compiere accertamenti su queste società, il Senato ha approvato un disegno di legge che costringerebbe le società quotate a dichiarare se sono ‘possedute o controllate da un governo straniero’ e concederebbe 3 anni di tempo per mettersi in regola con il PCAOB, pena il rischio di essere delistati dalle borse statunitensi.

Il disegno ora deve essere vagliato dalla Camera. Sebbene l’approvazione sia incerta, è chiaro che alcuni membri chiave del Congresso sono determinati ad aumentare il rischio normativo per le società cinesi.

Ancora tensioni all’orizzonte

Indipendentemente da quale partito controllerà la Casa Bianca nel 2021, non dovremmo attenderci un cambiamento significativo nella traiettoria sempre più negativa delle relazioni USA-Cina, in particolare se Pechino assumerà a sua volta una linea più dura per proteggere i propri interessi.

Per quanto la raffica di iniziative anti-Cina da parte del Governo USA possa essere stata catalizzata dalle vicende politiche legate alla pandemia, le criticità che sono riaffiorate non svaniranno nel breve termine. Al contrario, determineranno le discussioni nel prossimo inevitabile round di negoziazioni diplomatiche o economiche tra le due potenze.