Requisiti UE di trasparenza nell’ESG: chi ha tempo non aspetti tempo

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Si è parlato molto nelle ultime settimane di un possibile rinvio dei termini per l’applicazione del regolamento 2088/2019 (SFRD) che impone a tutti gli attori del mercato finanziario una serie di disclosure su aspetti ESG. Dato il peso dell’impianto regolamentare e l’iter per modificarlo, sembra altamente improbabile un cambio di rotta rispetto alla scadenza del 10 marzo 2021 almeno per quanto riguarda i requisiti minimi di comunicazione, ovvero politiche d’investimento, rischi di portafoglio, come questi impattano i rendimenti e una serie di altri aspetti rilevanti in materia ESG.

Del resto, l’obiettivo non è imporre a tutti di essere sostenibili, bensì di mettere ordine e comunicare in modo coerente agli investitori obiettivi e risultati. Non c’è nulla di male nello spiegare che si sta affrontando un processo di transizione per arrivare ad incorporare criteri ESG in un determinato orizzonte temporale, ma di certo ci sarà tolleranza zero sul promuovere come ESG o sostenibili prodotti che non lo sono.

Secondo una recente ricerca di PWC, entro il 2025 gli asset dei fondi ESG potrebbero rappresentare oltre il 50% del totale delle masse dei fondi comuni europei, con una crescita del 29% su base annua. Quella che il report definisce “l’opportunità del secolo”.

Di conseguenza, questa tipologia di strumenti sarà la prima a doversi adeguare e da marzo 2021 in avanti non ci si potrà limitare a valutazioni ESG fatte secondo “la media del pollo”, citando Trilussa per sdrammatizzare. Il rating ESG medio di ciascuna partecipazione in portafoglio non restituisce una fotografia affidabile della sostenibilità di un fondo, che va verificata con un approccio olistico e ben più approfondito. Finalmente tra qualche mese si potrà dire che tale approccio non solo non è nello spirito della normativa, ma è proprio contrario ad essa.

È altrettanto importante notare che utilizzando i dati delle principali agenzie di rating ESG viene fuori che una larga maggioranza di emittenti azionari e obbligazionari oggi è già sostenibile. Possiamo prendere ad esempio l’indice EUROSTOXX 50 (senza filtri ESG): utilizzando una media dei rating delle principali agenzie, si ottiene che ben due terzi delle aziende che lo compongono è fortemente sostenibile e addirittura oltre il 95% è sufficientemente sostenibile. Motivo ulteriore per dover fare valutazioni approfondite anche a livello di singoli titoli su aspetti cruciali legati alle dimensioni ambientali, sociali e di governance, le controversie e i rischi,andando ben oltre il rating ESG complessivo.

Infatti il nocciolo della Regulation on Disclosure dell’UE è quello di rendere pubbliche e quindi valutabili, le politiche ESG, i rischi ESG e tutta una serie di aspetti qualitativi che hanno a che vedere con la società di gestione e la strategia d’investimento, non soltanto con il portafoglio. Perché il rischio ESG è intrinsecamente legato a come si approccia la gestione di un fondo sul piano della sostenibilità e non solo a cosa c’è in un datomomento al suo interno. Se un gestore non conosce i parametri ESG, non sceglie intenzionalmente i titoli in base ad una politica ESG e non è appoggiato da una management company che ci crede, non ci si deve poi sorprendere se da un’analisi del fondo emergano investimenti controversi.

Guardando agli sviluppi dell’offerta, oggi i fondi aderenti all’art. 8 (adozione di criteri ESG) o all’art. 9 (obiettivi di sostenibilità chiari e misurabili) della recente regolamentazione UE sono alcune centinaia e non riteniamo credibilemostrare al momento una gamma composta da migliaia di fondi sostenibili. Stiamo assistendo ad un importante trend: alcuni dei più grandi asset manager si stanno muovendo per portare tutta la gamma prodotti ad integrare fattori ESG nel processo d’investimento, allargando così l’offerta di fondi propriamente definibili come tali. Ci vorranno tuttavia ancora mesi, se non un paio di anni per la maggior parte dei player, per completare questo passaggio.

Il possibile rinvio di una parte del regolamento è dunque un’opportunità da non perdere per fare le cose per bene, già nei prossimi mesi. Mettendo da parte soluzioni semplicistiche e poco credibili, per costruire un vero e proprioknow how anche a livello Paese, perché è fondamentale ritagliarsi un ruolo di leadership in Europa su un argomento di grande importanza.