Biden way

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I giorni che hanno preceduto l’insediamento di Joe Biden sono stati vissuti in un clima di preoccupazio­ne. Dopo l’attacco a Capitol Hill, da parte dei mani­festanti vicini a Donald Trump, l’FBI aveva avvertito della possibilità di proteste armate. La cerimonia si è svolta davanti a un Campidoglio blindato, con Biden che ha giurato facendo un appello all’unità in un mo­mento di grande frattura istituzionale. I primi impegni che attendono il presidente e la sua vice Kamala Harris al Campidoglio, saranno quelli di riuscire con­fermare la squadra di Governo nella sua interezza e far passare prima possibile un nuovo pacchetto di aiuti per il coronavirus. Il processo in corso al Senato per l’impeachment a Trump potrebbe però complica­re le cose, vanificando gli sforzi per una cooperazio­ne bipartisan.

Janet Yellen, neo segretario al Tesoro, ha esortato i Senatori ad approvare velocemente l’ulteriore aiuto economico da 1900 miliardi di dollari proposto da Biden, utile a sostenere il sistema e i governi locali per combattere la pandemia e per garantire un asse­gno da 1400 dollari ai privati che si somma a quello da 600 dollari introdotto dal Congresso a fine dello scorso anno. L’agenda democratica prevede anche un piano per la ripresa: questo secondo pilastro, che guarda più a lungo termine, include investimen­ti nelle infrastrutture e nella lotta al cambiamento climatico. L’impostazione dell’agenda dovrebbe poi creare un ambiente favorevole per le piccole e medie imprese, un tema a cui i mercati azionari prestano particolare attenzione in questo periodo.

La forte espansione della spesa pubblica provoca indubbiamente un notevole aumento del deficit che preoccupa i Repubblicani. Nel programma elettora­le di Biden era previsto un incremento delle aliquote per le imprese dal 21% al 28% e un aumento delle imposte sui redditi superiori ai 400.000 dollari. E’ probabile che le modifiche avvengano in un secondo tempo, a crisi pandemica superata, ed è possibile che si arrivi a un compromesso, con livelli di tassazione corporate intorno al 25%. L’audizione della Yellen ha portato alcuni chiarimen­ti su altri due temi importanti: dollaro e Cina. L’ex segretario della Fed ha disconosciuto l’utilizzo della politica dei tassi di cambio per ottenere un van­taggio competitivo, in netto contrasto rispetto alla visione del Presidente Trump e del segretario del Tesoro uscente Steven Mnuchin, che hanno ripetu­tamente espresso la preferenza per un dollaro più debole. Questo potrebbe determinare una svaluta­zione meno marcata del biglietto verde. Sulla Cina invece sembra esserci una comunanza di vedute con la precedente amministrazione: se è senz’al­tro vero che i toni potrebbero cambiare rispetto a quelli “muscolari” di Trump, una piena distensione non appare alle viste. L’effetto del cambio di guida dovrebbe avere effetti neutrali sull’evoluzione dell’a­zionario cinese. Più nel medio termine, un punto di attenzione continua però a riguardare il comparto tecnologico, che potrebbe essere impattato dalle decisioni della nuova Amministrazione.