A che punto sono i progressi ESG nell’industria estrattiva?
A febbraio, il prezzo dell’oro ha iniziato a scendere risentendo delle prospettive di crescita positive che hanno innescato un brusco aumento dei rendimenti dei Treasury, alimentato dalle crescenti probabilità di ulteriori misure di stimolo, da un calo dei tassi di contagio di Covid e dal miglioramento dei dati riguardanti le vendite al dettaglio e la produzione manifatturiera. Il rialzo dei tassi ha anche consentito al dollaro di stabilizzarsi, creando ulteriori difficoltà al metallo prezioso. L’oro ha raggiunto il minimo mensile di 1.717 dollari l’oncia il 26 febbraio e ha chiuso a 1.734,04 dollari l’oncia, con una perdita di 113,61 dollari (6,2%).Molte delle maggiori società del settore aurifero hanno pubblicato risultati di fine anno e previsioni degli utili in linea con le aspettative, sia dal punto di vista operativo sia finanziario. Le mosse per incrementare i ritorni per gli azionisti proseguono e alcune delle maggiori società hanno aumentato il dividend yield di oltre il 3,5%. Malgrado la buona notizia, le azioni aurifere si sono mosse al ribasso in linea con l’oro, con il NYSE Arca Gold Miners Index (GDMNTR)1 in flessione del 9,6% e il MVIS Global Junior Gold Miners Index (MVGDXJTR)2 in calo dell’8,3%.
Un aumento dell’inflazione potrebbe far allentare la pressione sull’oro
Quest’anno la performance dell’oro è stata deludente. Da quando Pfizer, ai primi di novembre, ha annunciato di aver messo a punto il vaccino, le quotazioni dell’oro hanno subito pressioni. Questo, unitamente al pacchetto di misure di stimolo per 1.900 miliardi di dollari, ha innescato previsioni di forte crescita economica generando un senso di euforia nei mercati. Finché queste previsioni prevarranno, verosimilmente fino alla fine del primo semestre, l’oro in quanto bene rifugio non avrà vita facile. Di conseguenza, abbiamo ridimensionato da consolidamento a correzione le nostre prospettive a breve termine, prefigurando una quotazione dell’oro di 1.600 dollari l’oncia. Riteniamo che nella seconda metà dell’anno emergerà un catalizzatore che spingerà l’oro nuovamente al rialzo. Il catalizzatore più probabile potrebbe essere rappresentato dalle aspettative di un aumento dell’inflazione. Queste ultime sono tornate ai livelli pre-pandemici, anche se alcuni avvenimenti lasciano pensare che la situazione potrebbe surriscaldarsi e sfuggire al controllo:
- alle misure di stimolo già approvate, con risorse ancora non del tutto utilizzate, potrebbero aggiungersi altri 1.900 miliardi di dollari
- ogni mese, la Federal Reserve statunitense (Fed) continua ad acquistare Treasury e titoli garantiti da ipoteca per 120 miliardi di dollari
- i prezzi di legname, petrolio, rame, generi alimentari di base e altre materie prime sono saliti, sfiorando in molti casi massimi pluriennali
- sono state documentate carenze di semiconduttori, container da trasporto e autisti di camion
- molte persone si accontentano di non avere un lavoro e di ricevere generosi sussidi statali.
- il potere di acquisto delle famiglie americane ha raggiunto massimi storici.
Andando verso il 2022, una volta spese le migliaia di miliardi di dollari delle misure di stimolo, potrebbero emergere altri catalizzatori di rischio sistemico, ad esempio il rallentamento dell’economia, problemi connessi al debito, il deprezzamento del dollaro e/o “cigni neri” generati da politiche monetarie e fiscali radicali. Riteniamo che nel lungo termine il mercato rialzista possa uscirne indenne, con prezzi che potrebbero addirittura superare i 3.000 dollari l’oncia.
Le società estrattive migliorano la rendicontazione ESG, ma le sfide sui gas serra permangono
Per le società del settore aurifero, data la natura della loro attività, i rischi ESG sono elevati. Nel Gold Commentary mensile di aprile 2019 e gennaio 2020 abbiamo descritto l’eccellente lavoro che svolgono le società per gestire tali rischi. Tuttavia, storicamente i management non hanno comunicato al pubblico in modo efficace le proprie attività e i propri successi in ambito ESG. Questa realtà sta rapidamente cambiando: infatti, nei rendiconti, negli incontri e nelle videoconferenze con gli investitori le problematiche ESG sono trattate alla stessa stregua di quelle gestionali o finanziarie. I siti web delle società hanno intere sezioni dedicate alla sostenibilità, mentre la quantità e la qualità delle informazioni migliora. Investiamo in società in grado di gestire efficacemente problemi sociali e questioni legate a risorse idriche, materiali di risulta, bonifica e salute e sicurezza.
A nostro avviso, l’aspetto più impegnativo delle politiche ESG per le società estrattive sarà quello delle emissioni di gas a effetto serra (GHG). Lo standard adottato è quello dell’Accordo di Parigi, che si propone di raggiungere zero emissioni nette di gas serra entro il 2050. Sebbene questo obiettivo rappresenti una sfida monumentale per tutte le società estrattive, alcune avranno più difficoltà di altre. Le emissioni di gas serra sono misurate in milioni di tonnellate di biossido di carbonio (MtCO2) e classificate come Scope 1 (dirette, prevalentemente dovute alle apparecchiature minerarie), Scope 2 (indirette, prevalentemente generate dalla rete elettrica) e Scope 3 (generate dalla catena di valore a valle delle miniere). Jeffries Equity Research ha scoperto che per 18 grandi società minerarie le emissioni del 2019 che rientrano nella categoria Scope 1 e 2 sono state complessivamente pari a 192,6 MtCO2 mentre quelle classificate Scope 3 hanno totalizzato 2467,3 MtCO2. Le società coinvolte in attività che utilizzano minerale di ferro, bauxite (alluminio grezzo) e carbone sono responsabili di emissioni Scope 3 nettamente superiori. Nella tabella che segue confrontiamo le emissioni di gas serra di Newmont, la più grande società del settore aurifero, con BHP, la più grande società estrattiva diversificata:
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La tabella mostra che alcune società estrattive fanno gruppo a sé quando si tratta di sfide legate alle emissioni.
L’integrazione dei principi ESG a livello aziendale è ancora in corso
Tra le società estrattive aurifere, Newmont ha assunto il ruolo guida quando, a novembre, ha annunciato obiettivi climatici che prevedono una riduzione del 30% delle emissioni di gas serra entro il 2030 e un obiettivo di zero emissioni nette di CO2 entro il 2050. Organizziamo incontri sulle tematiche ESG con tutti i produttori presenti nel nostro portafoglio e sappiamo che tutti stanno per fissare obiettivi in materia di emissioni che renderanno pubblici il prossimo anno. Esaminando le grandi società estrattive che hanno già stabilito gli obiettivi, scopriamo strategie generiche, che mancano di dettagli. Per la maggior parte delle industrie pesanti l’ondata di investimenti ESG è arrivata troppo repentinamente per poter capire esattamente che cosa comporterà l’azzeramento delle emissioni nette. È una situazione in continua evoluzione. Secondo uno studio di Wood Mackenzie condotto su 31 importanti società di estrazione aurifera e pubblicato dal World Gold Council, circa il 95% delle emissioni è associato a energia acquistata o a combustione di carburante. Ciò significa che per realizzare i propri obiettivi le società estrattive dipenderanno in misura preponderante dalle compagnie elettriche o dai fornitori di apparecchiature.
Consumo di energia – In base alla situazione attuale e ai piani del settore dell’estrazione aurifera di cui si è a conoscenza, Wood Mackenzie ritiene che l’intensità delle emissioni derivanti dall’energia utilizzata nella produzione dell’oro dovrebbe ridursi del 35% entro il 2030 secondo le linee delineate di seguito:
- il mix energetico presente nelle reti dei paesi produttori di oro dovrebbe modificarsi, riducendo l’utilizzo di carbone dal 25% al 18% e aumentando l’energia solare ed eolica dal 7% al 19%
- alcune società prevedono di installare, ove possibile, impianti solari nelle miniere; queste, tuttavia, rappresentano solo il 12% del campione dello studio
- un contributo positivo arriverà da una serie di iniziative di efficientamento energetico su piccola scala, quali automazione, big data e smistamento dei minerali
- alcune società possiedono miniere che producono molte emissioni e che saranno ridimensionate o chiuse entro il 2030
Riteniamo che questa strategia possa dare frutti immediati. Bisognerà attendere sviluppi tecnologici e la riduzione dei costi delle batterie e delle energie rinnovabili per poter portare il consumo di energia a zero emissioni nette entro il 2050.
Attrezzature pesanti – L’altra importante fonte di emissioni di gas serra sono i camion, le pale caricatrici, gli apripista e altre apparecchiature alimentate a diesel e utilizzate nei siti minerari. Due delle maggiori società aurifere posseggono miniere sotterranee in Ontario, Canada, dove la maggior parte delle apparecchiature è elettrica. Solo cinque anni fa non esisteva una tecnologia di accumulatori che consentisse alle apparecchiature elettriche di operare efficientemente in siti sotterranei. Accoppiata all’energia idroelettrica di rete, l’impronta ambientale è relativamente bassa. Questi due siti sono i pionieri di una tendenza all’elettrificazione delle miniere sotterranee che riteniamo si consoliderà nei prossimi dieci anni.
Le miniere a cielo aperto rappresentano una sfida maggiore rispetto a quelle sotterranee perché utilizzano apparecchiature molto pesanti. Due anni fa, l’International Council on Mining and Metals (ICMM) annunciò un’iniziativa sostenuta da 27 tra le maggiori società estrattive mondiali e 18 produttori di apparecchiature originali (Original Equipment Manufacturers – OEM) che mira a diffondere, entro il 2040, l’utilizzo di veicoli a zero emissioni di gas serra nelle miniere a cielo aperto. I membri dell’ICMM hanno ispezionato 650 siti per valutare cosa serva per raggiungere gli obiettivi del programma e quest’anno cercherà di integrare l’iniziativa nei processi di pianificazione aziendale.