La diversificazione, la migliore barriera contro le bolle di mercato

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Dodici mesi fa il mercato azionario si lasciava alle spalle “i dieci giorni che sconvolsero il mondo” e cominciava la corsa verso nuovi record, a dispetto di una situazione globale drammatica e di un crollo nell’attività economica mai visto in tempi di pace. Il settimanale The Economist metteva in copertina il “pericoloso divario” tra Wall Street e Main Street, tra l’economia di carta e l’economia del bullone e della lamiera. Dal 23 marzo 2020 lo S&P 500 è salito di oltre il 77%, alcuni titoli del settore tecnologico hanno registrato performance a tre cifre, stellari quelle delle criptovalute: l’unica risposta possibile alla domanda posta dal New York Times poco tempo fa, se cioè il mercato sia in una condizione di bolla, sembrerebbe un granitico “sì”. Ma il quesito posto dal giornale era più sottile, chiedeva quale sia il momento in cui una fase di crescita dei prezzi si trasforma in una bolla pronta a deflagrare. In questo caso la risposta è tutt’altro che granitica, esige semmai un supplemento di attenzione. Le “bolle” sono uno dei fenomeni più antichi e controversi nella storia dei mercati finanziari, un fenomeno tutto sommato raro ma dai forti effetti distruttivi.

Riconoscere le bolle è difficile e ancor più difficile, e costoso, è mettersi contro il mercato qualora si ravvedano forti incongruenze nei prezzi. Si misero contro il mercato gli investitori “che fecero l’impresa”, i protagonisti del libro “The Big Short” di Lewis. Avevano ritenuto insostenibile il mercato dei subprime, accumularono posizioni “corte” in direzione opposta a quella prevalente ed ebbero ragione. Ma, come dimostrato da studi successivi, furono anche molto fortunati. Oggi lo scenario non è semplicemente diverso, è completamente inedito, ogni ansa del fiume della Storia riserva novità e situazioni mai viste prima. La Cina, le enormi potenzialità della tecnologia, le politiche monetarie e le condizioni della liquidità, il debito e l’inflazione, tutto contribuisce ad aumentare la complessità e il numero dei possibili esiti, qualsiasi tentativo di scrutare il passato per cercare indizi utili a decifrare il futuro è inutile.

E allora, siamo in una bolla? In termini squisitamente semantici, si può parlare con certezza di una bolla dei prezzi solo dopo la sua deflagrazione. La semantica, evidentemente, non è di nessun aiuto, almeno non qui e non ai nostri scopi. Ma non aiutano neppure i principali indicatori di Wall Street perché, per quanto “tirati”, ad esempio il cosiddetto “Indicatore di Buffett” o il rapporto Prezzi Utili Forward, si oppongono altrettanto buoni argomenti a confutazione. Proviamo ad avvicinarci da un’altra strada, riconoscere ad esempio che non è sufficiente la condizione di sopravvalutazione dei corsi per gridare alla bolla speculativa e, semmai, riconoscere che solo alcuni settori e titoli sono sopravvalutati, sia in rapporto ai loro fondamentali che ai consueti ratio finanziari. Bolle singole, potremmo dire. Forse è preferibile la similitudine dell’incendio a quella della bolla. Per trasformare una fiamma in un incendio devastante occorre la combinazione di materiale infiammabile, calore e ossigeno. Se manca solo uno dei tre elementi il fuoco si può sopprimere e scongiurare il pericolo. Anche per alimentare una bolla sono necessari tre elementi, tutti presenti al momento: facile accesso al trading, che tramite le piattaforme è disponibile quasi senza costi e in qualsiasi momento; facile accesso al credito, questo livello dei tassi non è certo un ostacolo; infine, l’ampia platea degli operatori, molti di loro si ritrovano in gran numero su Reddit e Robinhood, completa il terzo elemento necessario per un incendio.

Manca l’innesco, la scintilla che innesca la fiamma o fa esplodere la bolla, il fattore ignoto che scatena il cambiamento radicale. Potrebbe essere un cambio nelle politiche fiscali dei governi, o in quelle monetarie delle banche centrali (anzi, “della” banca centrale, la Fed). La scintilla potrebbe anche nascondersi in una qualsiasi novità tecnologica come fu ad esempio l’elettrificazione che contribuì al boom degli anni Venti, una società di trading in difficoltà, una nave messa di traverso in un canale o, meglio, le dispute sul controllo di un canale ancora più importante, quei sei chilometri di mare che separano Taiwan dalla città cinese di Xiamen.

È un mercato non economico ma neppure troppo tirato, il fuoco è circoscritto a poche aree, qualche nome della tecnologia, titoli quotati di recente, società attive nelle energie alternative. Ma se è vero che le bolle sono il più delle volte confinate in parti del mercato, è altrettanto vero che l’effetto domino travolge il mercato intero che, oggi, si trova in una condizione di “fase tarda” del ciclo. Per John Authers di Bloomberg la fase “bullish” è infatti molto più vecchia di dodici mesi, quanto accaduto nel febbraio del 2020 è stato solo una correzione violenta del ciclo avviato nel 2009. L’indeterminatezza però è ineliminabile. Allora non è così importante saper riconoscere il momento in cui un mercato da “bullish” si trasforma in “bubblish”, è più importante accettare l’ineludibilità di queste fasi e comportarsi in modo conseguente. Non esistono portafogli invulnerabili alle oscillazioni dei prezzi, esistono però portafogli che diventano anti-vulnerabili quando, piuttosto che cercare di evitare i bruschi e ineludibili movimenti del mercato, si preparano all’incendio predisponendo opportune barriere tagliafuoco.

La prima e più importante barriera “tagliafuoco” dei portafogli è, senza sorpresa, la diversificazione. Che il portafoglio debba essere diversificato è stranoto, tra poco lo si leggerà anche sulle etichette dell’acqua minerale, ma altro è l’operazione naif di mettere nel portafoglio un po’ di questo e un po’ di quello, altro è l’allocazione delle classi di attivo secondo i criteri della decorrelazione, esercizio che richiede competenze e intelligenza. Un’altra barriera tagliafuoco è un posizionamento “barbell”, pesi distribuiti alle estremità, come nei bilancieri utilizzati in palestra: da una parte l’esposizione con attività rischiose al beta di mercato, alla direzionalità, dall’altra l’opportuno posizionamento su strategie a protezione, alternative, multi-asset a bassa volatilità. La valutazione di queste ultime strategie è più complessa rispetto alla scelta dei beta di mercato, è un banco di prova della valenza del selezionatore. La sfida è il valore aggiunto nella ricerca e definizione della diversificazione più efficace.