Un approccio razionale vince sulla frenesia del trading giornaliero

Credit Suisse Asset Management -

Intervista a Alexandre Bouchardy, Head of Investment Strategy di Credit Suisse Asset Management Svizzera & EMEA.

L’avvicendarsi spesso frenetico delle notizie di ogni giorno offre agli investitori innumerevoli motivi per modificare i portafogli. Tuttavia, nel lungo periodo tale modalità d’investimento non è proficua. Gli investitori possono conseguire potenziali rendimenti più elevati concentrandosi su trend di lungo termine e valutazioni prudenti.

Signor Bouchardy, lei consiglia agli investitori di puntare sui trend di lungo termine. Cosa significa esattamente?
Alexandre Bouchardy: non formuliamo previsioni e ci basiamo sulla conclusione che l’adozione di un approccio razionale vinca su una negoziazione giornaliera frenetica. Teniamo sotto controllo la performance a oggi e i propulsori di tali trend. Valutiamo quindi le probabilità di mantenimento di questa performance. I premi al rischio subiscono fluttuazioni nel breve termine, ma sono piuttosto stabili nel lungo periodo. Un orizzonte d’investimento di medio-lungo termine permette di conseguire rendimenti adeguati al rischio più elevati. In Europa i tassi d’interesse bassi, o negativi, offrono un esempio concreto in merito. A nostro giudizio, avremo un contesto di bassi tassi d’interesse ancora per tre-cinque anni.

Perché si aspetta ancora tassi d’interesse bassi in Europa su un orizzonte di medio termine?
Per varie ragioni. Un fattore chiave è legato alle differenze strutturali in termini di competitività tra gli Stati settentrionali e meridionali membri dell’Unione Europea.
Per capirlo, dobbiamo risalire ad alcuni decenni addietro. Prima dell’introduzione dell’euro nel 1999, le variazioni eccessivamente ampie venivano evitate tramite le valutazioni delle divise nazionali, rispecchiate nei movimenti dei tassi di cambio.
Per esempio, l’Italia è rimasta competitiva sul piano internazionale svalutando costantemente la lira nei decenni precedenti il lancio dell’euro, mentre il marco tedesco si è talvolta dimostrato una delle valute più forti del mondo. Questo meccanismo è cessato con il lancio dell’euro come moneta unica. Un processo di allineamento che porta i Paesi europei meridionali la cui crescita economica è di norma “inferiore al potenziale”, come Italia o Spagna, sotto l’ombrello di una moneta unica insieme a nazioni caratterizzate da una crescita “superiore al potenziale”, quali la Germania o i Paesi Bassi, può essere realizzato solo con un’inflazione relativa.

Questo significa pertanto che la Banca Centrale Europea deve tenere tassi d’interesse bassi anche in Germania, anche se ciò non è necessario per l’economia interna del Paese.
Sì, è così. Il risultato è che l’economia tedesca registra tassi di crescita superiori al potenziale e ciò si traduce a sua volta in inflazione degli asset.

Negli ultimi anni le differenze di crescita economica tra Europa del Nord e del Sud hanno ripetutamente fatto emergere appelli alla separazione della moneta unica tra zone euro settentrionali e meridionali. Esiste ancora questa possibilità?
No, a giugno 2020 l’UE ha annunciato l’intenzione di intraprendere un percorso prudente verso l’unione fiscale e ciò significa probabilmente che una separazione in seno all’area euro sia ora definitivamente esclusa.

In che modo differiscono le principali fasi di tagli dei tassi d’interesse negli ultimi due decenni?
I tassi d’interesse sono stati ridotti su ampia scala tra il 2001 e il 2003 allo scopo di stimolare tassi di crescita strutturalmente bassi e tassi d’inflazione ostinatamente bassi. Al contempo, ciò non ha comportato l’espansione dei bilanci delle banche centrali. I tassi sono stati ridotti anche nel 2008 e 2009, ma in quell’occasione i bilanci delle banche centrali subirono un’espansione rilevante. Gli interventi condotti ora sono su una scala ancora più vasta: comportano tassi d’interesse bassi o negativi, un’espansione ancora più accentuata dei bilanci delle banche centrali, acquisti diretti di titoli di Stato e, in alcuni casi, finanziamenti diretti alle imprese. In termini monetari, oggi siamo in presenza di una tolleranza dell’inflazione indubbiamente maggiore.

Cosa consiglia a chi vuole investire solo nel breve-medio termine?
Nel breve termine non esiste alternativa all’utilizzo della liquidità. Chi ha un certo grado di propensione al rischio e può accettare qualche volatilità dei prezzi, può investire parte del proprio patrimonio in azioni e oro. Tale investimento offre almeno una possibilità di conservare il valore degli asset anche se una parte può essere soggetta a tassi d’interesse negativi.

Shock esogeni come i lockdown causati dal coronavirus dovrebbero indurre gli investitori a riallocare in misura significativa i portafogli e a puntare su trend diversi?
No, è improbabile che questa mossa si dimostri azzeccata nel lungo periodo. In effetti, la pandemia non ha affatto creato nuovi trend. Al contrario, ne ha accelerati alcuni già esistenti. Lo smart working è un esempio calzante in proposito. Questa opzione esisteva già prima dell’avvento della pandemia, ma solo per un gruppo limitato di persone con particolari accordi lavorativi. Sulla scia dello scoppio della pandemia e dei successivi lockdown, le case della maggior parte dei dipendenti si sono trasformate in luoghi di lavori praticamente nell’arco di una notte. A fronte della transizione energetica e della promozione delle energie rinnovabili, il prezzo del petrolio era già sotto pressione prima dell’inizio della pandemia. Il COVID-19 ha semplicemente accelerato la flessione dei prezzi del petrolio, anche se in effetti questo calo è stato talvolta molto marcato.
Per quanto concerne lo shopping online, lo shock provocato dal coronavirus ha determinato un incremento enorme delle vendite al dettaglio su Internet in tutto il mondo. Ciò detto, questa forte crescita era iniziata anni prima della pandemia, consentendo a operatori come Amazon o Zalando di incrementare i fatturati a tassi superiori alla media. Anche qualora i negozi fisici recuperassero una parte di queste vendite online, il trend della digitalizzazione delle vendite al dettaglio continuerebbe senza sosta.

Possiamo estrapolare questi trend?
No, sarebbe rischioso perché ci aspettiamo che tra due-tre anni le condizioni in molte aree saranno ritornate quasi ai livelli pre-pandemia. La gente ritornerà all’opera, al cinema, allo stadio a vedere partite di calcio, a partecipare a sagre e feste. Vorrà viaggiare, festeggiare e divertirsi in gruppi grandi e piccoli. Riprenderanno anche gli eventi e le riunioni di lavoro, che sostituiranno alcuni dei formati virtuali attualmente utilizzati dalle persone per interagire.

Quali sono le probabilità di un ritorno alla normalità?
La maggiore opportunità sarebbe una ripresa economica prociclica. Malgrado tutti gli eventi imponderabili derivanti dall’elezione di Joe Biden a Presidente degli Stati Uniti e l’aumento del numero di contagi, come Investment Committee siamo generalmente ottimisti circa il fatto che osserveremo un trend caratterizzato dalla graduale normalizzazione dell’economia globale basata su nazioni impegnate a fare del proprio meglio per evitare ulteriori lockdown rigorosi.
Gli stimoli generati dalle politiche fiscali, monetarie, valutarie e di credito dovrebbero imprimere uno slancio sostenuto ad ampi segmenti dell’economia, creando un interessante potenziale di rialzo per le azioni. A proposito, in caso di inflazione, il valore delle azioni si è costantemente dimostrato più stabile di quello di altre asset class come le obbligazioni. Anche determinati investimenti immobiliari sono destinati a beneficiare dell’inflazione.