Banche centrali al bivio

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Le principali banche centrali delle economie occidentali stanno per effettuare una stretta monetaria. Questa però non sarà una tendenza unanime e andremo incontro quindi a una crescente asincronia, con una focalizzazione sulla riduzione del trade-off tra crescita e Inflazione, la cui traiettoria rimane incerta; prevediamo quindi che continuerà a prevalere la narrativa della “crescita insufficiente”. Settembre è stato un mese ricco di novità per le riunioni delle banche centrali. Il regolatore norvegese è stata la prima grande banca centrale occidentale ad aumentare i tassi di interesse dopo l’emergenza pandemica.
Norges Bank ha alzato i tassi dello 0,25% sulla spinta della ripresa economica e dei crescenti squilibri finanziari. Sia la Fed, sia la BoE, hanno assunto un atteggiamento meno accomodante del previsto, preannunciando dei cambiamenti e scatenando una correzione globale sul mercato obbligazionario.

I mercati azionari, tuttavia, hanno dato prova di buona tenuta, e probabilmente attendono che la pubblicazione dei dati della prossima stagione delle trimestrali confermi o meno la solidità della crescita.

La Fed ha fatto sapere che avvierà già a novembre la riduzione degli acquisti degli attivi a un ritmo di 15 miliardi di dollari al mese (10 miliardi di dollari in Treasury e 5 miliardi di dollari in MBS), e che intende concludere gli acquisti di obbligazioni legate alla pandemia entro il giugno 2022. I dot della Fed si sono mossi al rialzo, a riprova della maggiore fiducia riguardo al rialzo dei tassi di interesse verso la fine del 2022/l’inizio del 2023, a un ritmo di 3/4 rialzi all’anno. L’inflazione sarà il fattore determinante per quanto riguarda i rialzi dei tassi. Se l’inflazione sottostante sorprenderà al rialzo, superando il 2,3% previsto per il 2022, il primo rialzo dei tassi potrebbe avvenire alla fine del 2022.

Il comitato di politica monetaria della Bank of England ha votato con 7 voti a favore e 2 contrari per mantenere il programma completo degli acquisti di QE da effettuare entro la fine dell’anno, confermando gli attuali stimoli di QE già presenti. Al contempo, dai verbali è emersa una sorpresa per i mercati e le stime di consenso in tema di forward guidance dei tassi che sembra indicare una stretta monetaria anticipata. L’evoluzione del mercato del lavoro, alla luce della chiusura dei programmi di stimolo all’economia, sarà fondamentale per calibrare la tempistica dei rialzi dei tassi.

La BCE si sta muovendo invece in modo più prudente, ricalibrando innanzitutto il programma flessibile di emergenza (l’attuale importo del PEPP è di 1.850 miliardi di euro). Prevediamo che la BCE acquisterà in media obbligazioni per 70 miliardi di euro tra settembre e la fine di marzo del 2022, data in cui la banca dovrà affrontare il problema di dover mantenere un costo stabile di finanziamento del debito pubblico fintanto che nella zona Euro prevarrà la frammentazione economica. Infatti, la politica fiscale può essere efficace solo se i rendimenti dei titoli di Stato rimangono bassi e stabili anche a fronte di un aumento dei deficit. In assenza di un aumento significativo delle aspettative di crescita, la BCE si ritrova da sola a cercare di evitare la frammentazione finanziaria.

La riunione di dicembre sarà importante in quanto fornirà una maggiore chiarezza sulla forward guidance. Tutto ciò avviene in un momento di trade-off tra inflazione (più persistente del previsto, che spinge al rialzo le aspettative degli operatori di mercato) e crescita economica (che si sta normalizzando dopo la ripresa postpandemica, ma che deve misurarsi con i rischi delle varianti del virus, le strozzature della catena di fornitura e le sottili fragilità suggerite dal supporto dei governi).

L’orientamento verso una stretta monetaria non è tuttavia unanime e quindi ci aspettiamo un percorso non lineare.
Come previsto, la BoJ non ha modificato la propria politica in occasione della riunione di settembre, sottolineando come le esportazioni e la produzione abbiano risentito dei vincoli dal lato dell’offerta. Prevediamo quindi che manterrà una politica attendista.
É troppo presto per avviare la discussione sulla normalizzazione della politica perché la ripresa dell’economia giapponese è stata più lenta di quella di altri Paesi sviluppati e l’inflazione è ancora negativa. Quest’ultima dovrebbe salire gradualmente sul medio termine, ma rimane ancora ben lontana dall’obiettivo del 2%.

“First in/first out” è il motto che attualmente ben si attaglia alla Cina, alle prese con un altro punto di flesso. L’opinione secondo cui nel “2021 la crescita potrà comunque superare l’8%” spiega perché Pechino non stia mollando la presa sulla stretta regolatoria nonostante le iniezioni una tantum di liquidità overnight volte a mantenere la stabilità finanziaria alla luce della saga Evergrande.
Nel Q3 i dati sulla crescita hanno ampiamente sorpreso al ribasso, con l’unica eccezione delle esportazioni. L’inasprimento della politica, i vincoli autoimposti (politica di tolleranza zero sul Covid-19, taglio alla produzione per la decarbonizzazione/razionamento dell’elettricità) e la penuria globale di chip sono tutti elementi che hanno contribuito al rallentamento. Anche se le prospettive sul lungo termine rimangono solide, nei prossimi sei mesi vediamo più catalizzatori negativi che positivi. In tal caso si renderebbe necessario un ritorno tempestivo a una politica più accomodante.
In tutti questi anni, il governo cinese ha sorpreso per la sua capacità di far fronte alle crisi, ma temiamo che questa volta la reazione delle autorità sulle misure accomodanti potrebbe essere tardiva.

Gli investitori devono prestare grande attenzione all’evoluzione del mercato del lavoro, alle spese al consumo e all’inflazione, ma viste le attuali asincronie stanno emergendo delle opportunità nel reddito fisso e nel comparto valutario. Per quanto riguarda gli attivi rischiosi, non siamo ancora tentati di comprare. Se da un lato la dinamica dell’economia ha perso slancio durante l’estate, dall’altra le aspettative sugli utili sono state riviste al ribasso solo marginalmente. La stagione delle trimestrali che inizierà a metà ottobre ci aiuterà a capire in che misura gli allarmi sugli utili siano già stati scontati. Da qui ad allora ricalibreremo potenzialmente la nostra posizione sul rischio.