Guerra all’inflazione

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Queste prime settimane del nuovo anno si sono rivelate particolarmente sfidanti per i mercati finanziari, stretti fra la risalita dei tassi e il ritorno in primo piano delle tensioni geopolitiche. Il cambio di marcia impostato dalla Fed ha dato il via all’ennesima rotazione settoriale. Questa volta, però, l’impatto sui titoli ad alta crescita è stato particolarmente violento. La nuova stagione delle trimestrali riuscirà ancora una volta a dare un impulso positivo ai listini?

Questo primo trimestre del 2022 sarà inevitabilmente segnato dalla lunga marcia di avvicinamento alla fatidica riunione del 15-16 marzo, quando la Federal Reserve scriverà ufficialmente la parola “fine” al Quantitative Easing e attuerà il primo rialzo dei tassi ufficiali dell’era post -Covid.  Le forti escursioni intra-day dei listini americani viste in questi giorni erano un invito a Jerome Powell affinché usasse toni un po’ più morbidi nell’illustrare il cambio di marcia della politica monetaria. Il governatore della Banca Centrale americana, però, non ha colto l’invito e ha riconfermato con forza la volontà di procedere su più fronti nella lotta all’inflazione, senza preoccuparsi troppo delle conseguenze sui mercati finanziari. Il tapering terminerà a marzo, e sarà accompagnato dal primo rialzo dei tassi. Powell non ha escluso la possibilità di un aumento di 50 punti base né la possibilità di un ritocco ad ogni riunione del Fomc da qui a dicembre (ce ne saranno 7). La riduzione del bilancio avverrà forse già alla fine del secondo trimestre di quest’anno, ma almeno su questo fronte la Fed procederà con le dovute cautele. Non verranno effettuate vendite di asset sul mercato, ma verranno ridotti i reinvestimenti dei titoli in scadenza, e probabilmente solo sugli MBS. La Fed intende porre un freno al surriscaldamento del settore immobiliare, visto che negli ultimi 12 mesi si è verificata una forte salita degli affitti, la componente più importante del basket dell’inflazione americana.

In questa fase le conseguenze di un’azione così decisa sui listini azionari e obbligazionari, afferma nella sostanza Powell, passano in secondo piano. L’economia americana è in salute, il mercato del lavoro sta tornando sui livelli del 2019 e le condizioni finanziarie di imprese e famiglie sono molto più solide rispetto allo scorso anno. Se non adeguatamente controllata, un’inflazione elevata come quella attuale potrebbe avere pesanti conseguenze depressive sulla crescita nel medio termine ed erodere la ricchezza dei consumatori. Questo rischio la Fed non lo vuole proprio correre. È probabile quindi che la volatilità sui mercati resti elevata in questa prima parte dell’anno, sia sulle azioni che sulle obbligazioni. Se Powell dovesse avere ragione e la stretta monetaria dovesse avere un impatto minimo sulla ripresa economica, allora dovremmo assistere ad un ulteriore impulso alla rotazione settoriale da growth a value sui listini azionari, e a uno spostamento verso l’alto della curva dei rendimenti. In realtà in questa fase stiamo assistendo ad un movimento di appiattimento, ovvero ad un aumento più marcato della parte breve, che incorpora gli imminenti rialzi dei tassi, rispetto a quella lunga e lunghissima, segno che i mercati temono che le conseguenze depressive di tassi più alti fiacchino la crescita economica nel medio termine.