Mercati: le incognite del 2022

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Nel prossimo biennio il Covid uscirà lentamente di scena e a tenere banco saranno le strette monetarie, ma restano cinque importanti incognite a dominare i mercati: pandemia, inflazione, elezioni, politica fiscale e monetaria, transizione green.

La pandemia purtroppo ci accompagnerà ancora per almeno un paio d’anni, pur se in forma sempre più blanda, con potenziali sorprese legate a eventuali nuove varianti. Il boom dell’inflazione poi potrebbe rivelarsi più lungo e marcato delle aspettative, anche se comunque di natura temporanea. Poi ci sono le incognite elettorali: il voto di midterm negli Stati Uniti, le presidenziali in Francia, la partita del Quirinale in Italia e le elezioni politiche in Giappone, con gli effetti del carovita che potrebbero pesare sulle scelte dei cittadini. C’è il tema delle politiche fiscali e monetarie, dagli enormi bilanci delle banche centrali alla gestione dei debiti pubblici. E infine la transizione verde, con i suoi effetti su inflazione e crescita.

Ancora crescita economica

Osservando il profilo della crescita economica il futuro non dovrebbe deludere le aspettative: anche se meno brillante del 2021, il 2022 è destinato a segnare una buona progressione del Pil reale mondiale (+4,2%), trainato da Cina (+5%), Stati Uniti (+3,5%), Eurozona (+3,9%) e Giappone (+3,5%), con una performance di tutto rispetto da parte di Italia (+3,7%), Germania (+3,5%) e Francia (+3,6%).

Assisteremo a un incremento del Pil reale ancora superiore ai livelli di crescita potenziale ai quali tuttavia le economie dovrebbero riallinearsi nel 2023, con un rallentamento rispetto all’anno precedente.

Nel medio periodo l’Europa sarà favorita dagli effetti del piano Next Generation Ue, mentre la crescita cinese dipenderà dalle scelte di politica monetaria di Pechino e quella statunitense da quale “colore” avrà il Congresso uscito dal voto di midterm.

Lato Paesi emergenti, invece, pesa il macigno dell’inflazione che da una parte comprime i consumi e dall’altra costringe le banche centrali a rincorrere il carovita alzando i tassi anche per stabilizzare le proprie divise.

Tra le asset class, attenzione alle valute

Quanto alle asset class, proprio il settore valutario potrebbe rivelarsi uno di quelli più interessanti nel prossimo biennio. Alcune banche centrali stanno già alzando i tassi, in alcuni casi bruciando le tappe, mentre altre dichiarano che non lo faranno per tutto il 2022: questo scarso coordinamento della politica monetaria globale finisce per avere la sua valvola di sfogo proprio sul mercato valutario il cui andamento sarà dominato dal differenziale dei tassi d’interesse. Nel nostro Outlook consigliamo di investire su asset comunque denominati in valute forti, perché quelle emergenti sono ancora troppo volatili e sensibili all’inflazione, con l’euro che potrebbe indebolirsi ancora un po’ rispetto al dollaro o alla sterlina.

Ma vediamo anche le altre asset class. La nostra view è difensiva sul comparto obbligazionario governativo perché i tassi d’interesse saliranno anche nelle economie avanzate. Restiamo neutrali sul credito emergente e high yield, asset class care ma ancora in grado di realizzare discrete performance, e sui titoli indicizzati all’inflazione. Riteniamo invece che le materie prime abbiano in buona parte già toccato il picco delle quotazioni: la corsa delle commodity energetiche, in particolare, dovrebbe prendersi una pausa nel 2022. Attenzione però, perché settori come quello dei metalli industriali strategici dovrebbero restare nella loro “bolla strutturale” anche nei prossimi anni, a partire dal litio così prezioso per le batterie.

Non c’è alternativa all’equity

E l’azionario? «Fino a quando le banche centrali resteranno al centro del palcoscenico, riuscendo a governare le tante incognite in gioco senza fare errori, resta sempre valida la formula “Tina”: “There Is No Alternative”, non c’è alternativa all’equity – conclude Tentori – . E in questo settore preferiamo l’Europa, favorita dai titoli value (ovvero quelli appartenenti a comparti stabili ma dal tasso di crescita contenuto, per esempio le utilities) e soprattutto dai bancari, perché forse proprio i “financials” potrebbero rappresentare il cavallo di battaglia in un mondo che sta alzando i tassi d’interesse».

Un lieve rallentamento della crescita degli utili e tassi leggermente più alti non porteranno a un crollo dei mercati azionari, sottolinea a sua volta Chris Iggo, CIO Core Investments di AXA IM: la ripresa economica in corso, l’innovazione legata alla lotta al climate change e il rinnovo delle catene di fornitura globali dovrebbero rappresentare venti favorevoli per l’azionario. Almeno per un po’ di tempo.