Previsioni di crescita al ribasso su entrambe le sponde dell’Atlantico

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L’incremento dei prezzi va ormai ben oltre il segmento del petrolio. Anche il prezzo di altre fonti di energia (gas, carbone, elettricità) e quello di diverse materie prime è aumentato in maniera evidente, con il prezzo dei metalli e delle materie prime agricole che sta raggiungendo i massimi. L’inflazione energetica sta aggiungendo pressione alle catene di approvvigionamento influenzando allo stesso tempo l’intero segmento commodity e spingendo al rialzo i prezzi al consumo, in una fase in cui le cifre dell’inflazione stanno aumentando su scala globale fatta eccezione per la Cina. In Eurozona, per esempio, la rilevazione flash di marzo dell’indice HIPC (Harmonised Index of Consumer Price) è aumentato al ritmo più veloce registrato negli ultimi 30 anni, al 7,5% su base annua.

E’ pur sempre importante sottolineare che due terzi di questo aumento sia legato alle cosiddette componenti volatili, che sono principalmente importati (energia), mentre al contrario le componenti volatili contribuiscono solo per un terzo all’inflazione dei consumatori per quanto riguarda gli Stati Uniti. Nonostante questa differenza sia l’elemento chiave per giustificare in parte la differenza nei segnali di politica tra la Fed e la BCE, un alto livello d’inflazione nel tempo porterà in fin dei conti ad un’ulteriore reazione di politica monetaria, che probabilmente ci porterà a rivedere al ribasso le nostre aspettative di crescita. Quindi, decelerazione della crescita sì, ma pur sempre lontani da una fase di recessione. L’attuale shock in termini di fiducia, insieme alla perdita di potere d’acquisto delle famiglie ed al probabile impatto negativo dei ricavi da inflazione delle società non finanziarie, dovrebbe influenzare le due componenti principali della domanda interna, ovvero la formazione lorda di capitale fisso (investimenti privati) ed il consumo delle famiglie.

Tutto ciò si riflette sulle nostre proiezioni di crescita, che sono state riviste al ribasso sia negli Stati Uniti che nell’Eurozona. Ora ci aspettiamo che il PIL cresca del 3% negli Stati Uniti e del 2,4% nell’Eurozona nel 2022 (in calo di 0,4 e 0,6 punti base, rispettivamente, rispetto alle proiezioni di due mesi fa). Questo è importante perché, anche se la crescita sarà soggetta a pressioni avverse (shock di fiducia, inflazione e irrigidimento delle condizioni monetarie), dovrebbe rimanere al di sopra del suo livello potenziale in entrambe le regioni. In altre parole, escludiamo una recessione.