Eurozona, politiche aggressive sui tassi e incertezza TPI

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Oltre l’elevata volatilità sui mercati, la settimana scorsa è stata caratterizzata dalle importanti novità introdotte a seguito della riunione della Banca Centrale Europea in risposta alle pressioni inflazionistiche e alla crisi energetica in corso. Le nuove decisioni hanno toccato tre punti chiave: la politica dei tassi d’interesse, l’introduzione di un nuovo strumento di politica monetaria, il TPI, (acronimo diTransmission Protection Instrument) o dello scudo anti-spread, e la scelta di abbandonare l’approccio pianificato di forward guidance relativo alla politica monetaria per intraprendere invece decisioni di volta in volta basate dei dati rilevati.

In questo frangente, il provvedimento più importante della BCE ha riguardato quello della politica aggressiva sui tassi d’interesse che, per la prima volta dopo undici anni, ha visto un innalzamento di 50 punti base dei tassi d’interesse, rispetto ai 25 previsti, ponendo quindi un termine alla politica di tassi d’interesse negativi da otto anni in vigore e quota -0.50%.

Questo rialzo dei tassi dei prezzi ha come obiettivi quello del contenimento dell’inflazione al 2% nel medio termine. Lo strumento dello scudo anti-spread o TPI, per garantire la trasmissione uniforme della politica monetaria ed il contenimento degli spread tra i paesi dell’eurozona, permette alla BCE la possibilità di effettuare acquisti illimitati ai titoli di stato di uno stato europeo da uno a dieci anni a patto che determinate condizioni di tipo fiscale e macroeconomico vengano soddisfatte.

Riteniamo che la complessità delle condizioni e l’ampia discrezionalità data al consiglio della BCE per l’attuazione delle manovre previste dallo scudo fiscale, possa creare incertezza sulla validità dello strumento, che potrebbe essere presto messo alla prova nel contesto della crisi di governo italiana. Il rischio politico derivante dalle dimissioni dell’uscente presidente del consiglio Mario Draghi è stato immediatamente riflesso dal rialzo nei rendimenti dei BTP a dieci anni, che ha causato un aumento dello spread a 240 dal precedente livello di 235 dai Bund tedeschi.

Il rischio percepito e principale driver per lo spread riguarda la posizione critica nei confronti della politica fiscale europea e in particolare del fiscal-compact presa dalla propaganda dei partiti di destra italiani, trovandoci anche alla vigilia dell’approvazione del budget della spesa pubblica italiana previsto per settembre. Nonostante le azioni della banca centrale, rimangono inalterate e non rosee le prospettive dai i dati economici attesi per l’eurozona che vedono la crescita a zero per la seconda metà dell’anno con un picco dell’inflazione previsto fino al 10% per settembre.