Le medie forniscono solo un quadro parziale

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Spesso si tende a guardare al passato per dare un senso al presente e al futuro. L’analisi degli eventi passati può in effetti fornire indicazioni utili per il futuro, ma qualche volta induce a formulare ipotesi errate.

Nelle fasi ribassiste, un quadro di riferimento ampiamente abusato, e a mio avviso pericoloso, è rappresentato dai drawdown del passato e dalle loro implicazioni implicite per i rendimenti di mercato futuri. Ad esempio, una formula spesso usata è la seguente: data una recessione della durata media di w giorni, le azioni registrano una perdita media dell’x% seguita da un recupero dell’y% in z giorni. Gli osservatori del mercato ricorrono a formule come questa per alleviare l’angoscia dei clienti e indurli a credere che si prospettino giorni migliori.

Che arriveranno giorni migliori non c’è dubbio; tuttavia, questo può richiedere più tempo del previsto ed essere preceduto da gravi difficoltà finanziarie.

Il problema delle medie

Le medie esprimono il valore centrale o tipico di una serie di dati, ma non forniscono indicazioni sulle variazioni. Ad esempio, due città possono avere entrambe una temperatura media annua di 21 °C, ma se una si trova in una zona dal clima temperato dove le temperature sono relativamente costanti e l’altra registra una notevole stagionalità, la media non dice molto. Servono più dati per decidere quando visitare una città e quando l’altra.

A parte il problema delle medie aritmetiche, come nel caso delle due città appena citate, ogni ribasso del mercato, crisi finanziaria e recessione presenta caratteristiche diverse. Anche se le medie storiche sui ribassi di mercato fossero accompagnate da pagine di dati, avremmo a disposizione informazioni utili? Non credo.

Le recessioni eliminano gli eccessi

I cicli economici e di mercato non muoiono di vecchiaia, ma terminano quando una crisi finanziaria o una recessione interviene a correggere gli eccessi. Questi episodi, spesso dolorosi, eliminano i sovrainvestimenti sia nell’economia reale che nei mercati finanziari. La durata del ciclo economico è irrilevante. Ciò che conta davvero sono il livello degli eccessi e l’entità del processo di ribilanciamento necessario. Sono questi i fattori che determinano la potenziale ampiezza di un ulteriore ribasso dei mercati.

Per avere un’idea di dove si trovassero gli eccessi del passato, basta considerare chi erano i clienti preferiti di Wall Street al tempo. Ad esempio, negli anni ’90 erano le dot-com. I clienti preferiti (e più redditizi) di Wall Street erano società con un business model legato a Internet in cerca di capitali. Negli anni 2000 la clientela preferita era costituita da istituzioni finanziarie alla ricerca di un rendimento ottimizzato senza un eccesso di rischio.

Wall Street ha venduto a queste società mortgaged-backed securities (MBS) basati su portafogli di prestiti concessi a proprietari di case statunitensi che non erano in grado di (o disposti a) adempiere ai loro obblighi.

Il tempo necessario per recuperare terreno dopo la bolla di Internet o la crisi immobiliare non è correlato alla recessione successiva. Squilibri diversi richiedono processi correttivi diversi. L’entità del ribasso registrato allora dall’S&P 500 o dall’MSCI EAFE Index non è più un problema. Ciò che conta oggi è se l’economia reale e i mercati finanziari hanno smaltito gli eccessi accumulati dopo l’ultima recessione.

Dove si trovano gli eccessi oggi?

In risposta alla bassa crescita e ai rischi di deflazione degli anni 2010 le banche centrali hanno fatto ricorso
al quantitative easing, nella speranza che gli acquisti di asset avrebbero portato alla creazione di capitale e all’assunzione di prestiti da parte delle imprese per finanziare attività produttive. Così non è stato, perché lo svilimento della moneta ha segnalato ai produttori prospettive di crescita deboli. Il denaro preso in prestito è stato invece impiegato in distribuzioni di dividendi e riacquisti di azioni. Il quantitative easing si è rivelato un problema mascherato da soluzione.

I clienti preferiti di Wall Street all’indomani della crisi finanziaria globale erano le imprese non bancarie. La leva finanziaria di queste aziende ha raggiunto nuovi massimi prima della pandemia ed è aumentata ulteriormente una volta che le banche centrali hanno riaperto i rubinetti dei prestiti nell’aprile 2020, sbloccando i mercati del credito.

Nonostante un ciclo economico tra i più deboli della storia, i margini di profitto delle imprese hanno toccato livelli record nel 2018, per poi superarli nel 2022 a causa degli effetti ritardati dell’eccesso di stimoli nell’economia mondiale. In che modo? Il debito permette di anticipare nel tempo la capacità futura, e le imprese hanno anticipato una quantità insostenibile di margini e di profitti.

Prospettive future

Margini e profitti determinano in ultima analisi i prezzi di azioni e obbligazioni. “L’S&P 500 è avviato ad archiviare il peggior inizio d’anno dal 1970” è un titolo di testata drammatico, ma non coglie il punto.1 A dettare i rendimenti futuri saranno i profitti.

Attualmente, molte aziende affermano di poter mantenere margini di profitto storicamente elevati, come quelli registrati dopo le misure di stimolo, nonostante i crescenti timori di recessione e l’aumento significativo dei costi (il che spiega perché le aspettative di utile rimangono elevate a dispetto delle evidenti pressioni sui ricavi e sui costi), ma noi non ci crediamo.

Il rischio di solito si nasconde sotto gli occhi di tutti. Voi cosa vedete?