Un grande passo per la Bce è solo un piccolo passo contro l’inflazione

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Politica monetaria e geopolitica

A volte, semplicemente, succede tutto nello stesso momento. Pensiamo alla settimana passata, caratterizzata da eventi rilevanti sul fronte monetario e geopolitico le cui ripercussioni sull’economia influiscono in maniera sempre più evidente anche sugli utili societari.

La Banca Centrale Europea si è finalmente decisa. Ha salito il primo gradino della scala dei tassi. Si tratta del primo passo dopo ben 11 anni. In ogni caso, l’inasprimento monetario non è la soluzione di tutti i problemi. Infatti, quello che per la BCE è un grande passo, poiché conferma la svolta sul fronte dei tassi, è solo un piccolo passo nella lotta all’inflazione (e alle stime inflazionistiche), a prescindere dall’entità del rialzo (50 punti base). L’inflazione si autoalimenta e la BCE, che ha portato avanti una politica troppo espansiva troppo a lungo, ha sinora faticato a lasciarsi alle spalle l’assetto di emergenza adottato in occasione della crisi del debito nell’Area Euro e della pandemia di Coronavirus. Al momento, sembra che in cima alla lista delle priorità dell’autorità monetaria vi sia non tanto l’inasprimento dei tassi, quanto piuttosto la lotta alla “frammentazione” dei mercati obbligazionari dell’Eurozona. A tal fine, ha creato il “Transmission Protection Instrument” (TPI), una modalità di acquisto di titoli governativi senza condizioni e senza limiti. Non dovremmo essere sorpresi se le aspettative di inflazione aumentano invece di diminuire. Per lotta alla frammentazione si intende la manipolazione dei rendimenti obbligazionari al fine di tenere sotto controllo gli spread, vale a dire i differenziali di rendimento tra i titoli di Stato dei Paesi Membri con una minore affidabilità creditizia e i Bund tedeschi. Tale pratica è giustificata da motivazioni più che mai valide: quanto più gli spread sono contenuti, tanto più i rendimenti complessivi sono bassi e minore è l’aumento dei costi di servizio del debito pubblico.

La riduzione “automatica” dell’indebitamento statale mediante l’inflazione (presupponendo un saldo primario in pareggio) è possibile solo se i tassi di interesse reali sono inferiori al tasso di crescita reale. In caso di aumento dei tassi di interesse reali, aumenta anche l’onere a carico degli Stati. Tuttavia l’incremento del tasso di interesse implicito – il tasso medio a cui avviene il rifinanziamento degli enormi volumi di debito pubblico – e l’incremento dei rendimenti sui mercati non hanno un rapporto 1:1 e al contempo il punto di partenza è decisamente più basso rispetto al livello nel periodo precedente la crisi finanziaria (cfr. grafico della settimana).

Di seguito alcuni importanti aspetti di cui gli investitori, quantomeno dell’Area Euro, dovranno tener conto: nonostante i rendimenti nominali non siano più negativi, è improbabile che la perdita di potere d’acquisto di conti correnti e obbligazioni derivante dall’inflazione si esaurisca in tempi brevi.

Quanto al contesto globale, giovedì è stato il giorno X per conoscere le sorti delle forniture di gas dalla Russia. Rubinetti aperti o chiusi? La risposta a tale domanda influirà non solo sulla temperatura nelle nostre case, ma anche sulle prospettive di crescita dell’economia (tedesca).

La settimana prossima

La prossima settimana sono attesi diversi indicatori del sentiment di varie aree geografiche, che ci permetteranno di determinare la divergenza tra sentiment e situazione effettiva. L’indice tedesco Ifo della fiducia delle imprese dovrebbe risentire delle preoccupazioni circa l’interruzione delle forniture di gas dalla Russia. Venerdì verranno resi noti i prezzi al consumo per l’Area Euro. Con ogni probabilità tali dati renderanno evidente la necessità che la BCE agisca per riportare le aspettative d’inflazione sotto controllo. Sul fronte monetario, a catalizzare l’attenzione sarà la decisione del Comitato di politica monetaria della Federal Reserve (Fed) USA. Le attese di consensus sono eterogenee: alcuni si attendono che la Fed confermi il rialzo del tasso di riferimento di 50 punti base, altri prospettano un inasprimento più deciso.

Nel frattempo, prosegue la stagione di pubblicazione degli utili. Sinora, i dati di bilancio si sono rivelati solidi, mentre la guidance è apparsa leggermente più prudente; alcune banche USA hanno aumentato gli accantonamenti a causa del contesto economico. Inoltre, in determinate aree sono emersi i primi segnali di rallentamento alla luce dei maggiori costi di produzione e fattori produttivi. Le aspettative degli analisti circa la crescita degli utili per azione (EPS – earnings per share) dell’S&P 500 si attestano all’11% nel 2022 e al 9% nel 2023. Nel caso dell’Eurostoxx sono pari al 14% per l’anno in corso e al 6% per l’anno prossimo. Diversamente dal solito, superare le attese degli analisti sarà probabilmente tutt’altro che semplice e la stagione di pubblicazione dei bilanci potrebbe quindi rivelarsi piuttosto deludente.

La prossima settimana si prospetta complicata. I mercati azionari e obbligazionari appaiono instabili, una situazione confermata anche dal MOVE – l’indicatore della volatilità del mercato obbligazionario – tuttora a livelli ben superiori a quelli del VIX, il corrispondente per le piazze azionarie. Il MOVE ha raggiunto valori molto alti. La liquidità in ambito azionario è scarsa; di conseguenza i corsi potrebbero essere influenzati da singole operazioni. La situazione non dovrebbe migliorare in estate. Sui mercati valutari il quadro è analogo.

L’unico aspetto incoraggiante è che gli investitori hanno già assunto un posizionamento difensivo e sembrano preparati a cattive notizie.