Inflazione, perché le obbligazioni inflation-linked sono ancora attraenti

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Da inizio anno l’inflazione complessiva si è abbassata, ma quella dei servizi si è rivelata più resiliente del previsto. Ecco perché pensiamo che non sia ancora il caso di abbandonare le obbligazioni indicizzate all’inflazione, che riteniamo attraenti nel contesto attuale. Infatti, oggi i tassi d’interesse reali – che rappresentano il rendimento delle obbligazioni indicizzate e il premio che gli investitori guadagnano dall’inflazione – sono positivi. Inoltre, i livelli di inflazione prezzati nelle obbligazioni inflation-linked sono abbastanza vicini agli obiettivi d’inflazione delle banche centrali, suggerendo che il mercato ha attualmente un outlook d’inflazione che potrebbe rivelarsi eccessivamente ottimista.

Il rallentamento dell’inflazione, da inizio anno, è stato principalmente trainato dai prezzi dell’energia, mentre quelli di alimentari, beni e servizi rimangono elevati. Ma è proprio sull’inflazione dei servizi, o “core”, che si stanno concentrando le banche centrali.

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Il problema delle banche centrali, in generale, è che sono vicine alla fine del ciclo dei rialzi, tuttavia gli effetti dei rialzi passati devono ancora esser visti, quindi il rischio di un errore della politica monetaria sta crescendo. Nonostante la stretta monetaria nel corso del 2022, sia negli Stati Uniti che in Europa, molte analisi suggeriscono infatti che la trasmissione della politica monetaria all’economia non sia ancora avvenuta. Per questa ragione ci aspettiamo che l’inflazione continui a moderarsi fino a fine anno, ma potrebbe anche dimostrarsi più tenace del previsto.

I rendimenti reali sono positivi

Quando l’inflazione si attenua, i breakeven dell’inflazione tendono a diminuire, ma questa combinazione di livelli elevati di rendimenti reali e livello moderato di breakeven è dove vediamo opportunità. I rendimenti reali medi delle obbligazioni indicizzate all’inflazione sono attualmente al loro livello medio più alto dal 2009-2010, ma sono positivi e suggeriscono che gli investitori possono assicurarsi un reddito superiore all’inflazione.

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L’inflazione scenderà davvero al 2% nei prossimi dodici mesi?

Difficile fare previsioni. Il mercato sta prezzando un’inflazione che, per la fine dell’anno, scenderà ai livelli target delle banche centrali. Questo nonostante l’inflazione abbia sorpreso al rialzo e si sia rivelata più tenace delle aspettative.

Dall’inizio del 2023, l’inflazione complessiva ha cominciato a rallentare nelle economie mature. Siamo passati da un’inflazione sopra il 10% nella zona euro, a quasi l’8%. Tuttavia, i prezzi restano elevati anche rispetto agli standard storici e l’inflazione “core” si sta dimostrando estremamente appiccicosa.

La crescita dei salari rappresenta un rischio che l’inflazione resti e si auto-alimenti. Questa è la sfida per gli investitori: è possibile che l’inflazione appiccicosa resti un problema per il prossimo decennio.

Alla base della volatilità dei livelli d’inflazione ci sono fattori come la “green revolution” (la transizione energetica green), le continue tensioni sulla catena d’approvvigionamento causate dalla guerra in Ucraina e le preoccupazioni sul deficit di bilancio.

I grafici sottostanti, relativi alle stime d’inflazione per l’area euro e per gli Stati Uniti, mostrano che gli economisti prevedono ancora un ritorno dell’inflazione ai livelli target del 2% entro la fine del 2023.

Mercato troppo ottimista sull’inflazione futura

A questo va aggiunto che i breakeven d’inflazione a 10 anni suggeriscono che il mercato stia prezzando l’inflazione futura in modo consistente con i livelli avuti tra il 2010 e il 2013. Questo grafico mostra le aspettative d’inflazione dalla crisi Lehman Brothers. Il mercato è potenzialmente troppo ottimista sull’inflazione.

Le ragioni per cui aggiungiamo duration in portafoglio attraverso le inflation-linked

Diversi segnali di mercato indicano che è il momento di essere bullish sulla duration. Il primo indicatore viene dagli economisti che segnalano che l’inflazione si sta moderando e l’inflazione “core” ha raggiunto il suo picco. Quando l’inflazione core raggiunge il picco negli Stati Uniti i rendimenti nominali dei Treasury smettono di salire. Al contrario, la zona euro ha visto un’inflazione core più alta da inizio anno, e di conseguenza abbiamo raggiunto un nuovo picco dei rendimenti.

Un altro indicatore è la curva di rendimento invertita negli Stati Uniti che è un segnale forte per comprare duration e aggiungere rischio di duration ai portafogli su un orizzonte ciclico. Quando la curva di rendimento s’inverte, siamo al picco dei tassi d’interesse, e l’inversione della curva negli Stati Uniti lo scorso anno ci dice che questo “è il momento in cui dovremmo aggiungere duration al portafoglio”.

Preferiamo assumere una duration lunga”, ma attraverso le obbligazioni inflation-linked, e non titoli di Stato. Il rischio principale al momento un’inflazione più alta, più a lungo. Quest’anno la duration nel nostro portafoglio è compresa tra 2,5 e 4 anni.

In ogni caso è sempre opportuno diversificare i portafogli obbligazionari, perciò per un investitore retail può essere interessante investire in BTp, ma abbinato ad altri asset indicizzati all’inflazione. Non è mai opportuno puntare su un solo mercato.