Report mensile sulle Mid Small Cap italiane: che cosa può invertire la tendenza alla sottoperformance?

Team di Ricerca di Intermonte -
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Performance (-). Il mercato azionario italiano (prezzi al 20 luglio 2023) è salito dello 3.9% nell’ultimo mese ed è in rialzo del 19,9% su base annua. L’indice FTSE Italy Mid-Cap (-1,7%) ha sottoperformato l’indice principale dell’5,5% nell’ultimo mese (-12,6% da inizio anno), mentre l’indice FTSE Italy Small Caps (-2,1%) ha registrato una performance del 5,9% inferiore rispetto al mercato e del -23,7% su base relativa dall’inizio del 2023. Guardando alle performance delle mid/small cap in Europa, l’indice MSCI Europe Small Caps è aumentato dello 1,8% nell’ultimo mese, registrando una performance migliore rispetto alle mid/small cap italiane.

· Stime (=). Dall’inizio del 2023, abbiamo attuato una revisione al rialzo del +8,0% delle nostre stime sugli EPS del 2023, mentre la revisione è stata più contenuta (+5,3%) sugli EPS per il 2024; concentrandoci sulla nostra copertura mid/small cap, tuttavia, dal 1° gennaio 2023 abbiamo aumentato gli EPS 2023 di appena lo 0,5%. In particolare, nell’ultimo mese abbiamo lasciato invariate le stime sia sui titoli del FTSE MIB sia sulle mid/small cap che copriamo.

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· Valutazioni (=). Se confrontiamo la performance YtD con la variazione delle stime per l’esercizio ‘23 nello stesso periodo, vediamo che i titoli del FTSE MIB hanno registrato un re-rating dell’12,9% su base annua (la stessa metrica era +8,3% un mese fa); le mid-cap si sono rivalutate del 5,4%, mentre le small cap del 8,5%. Su base P/E, il nostro panel è scambiato con un premio del 30% rispetto alle large cap, ben al di sopra del premio medio storico (17%), ma al di sotto del livello di un mese fa (42%).

· Liquidità (-). Osservando l’andamento degli indici ufficiali italiani, notiamo che la liquidità delle large cap nell’ultimo mese (misurata moltiplicando i volumi medi per i prezzi medi in un determinato periodo) è superiore del 13% rispetto allo stesso periodo di un anno fa, mentre è in calo del 6,5% dall’inizio dell’anno rispetto allo stesso periodo nel 2022. Il quadro è molto più preoccupante per le mid/small cap: nello specifico, la liquidità YtD per le mid cap è scesa del 24,4% YoY, mentre per le small cap è scesa del 30,9% YoY.

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Strategia di investimento. Nonostante le aspettative di una recessione dovute all’aumento dei tassi d’interesse e dell’inflazione, le economie degli Stati Uniti e dell’Unione Europea si dimostrano resilienti. Il mercato del lavoro rimane forte, la spesa dei consumatori è in crescita e gli utili aziendali sono robusti. Il rallentamento dell’inflazione lascia supporre che gli aumenti dei tassi d’interesse possano terminare presto. Gli economisti sono cautamente ottimisti sulla possibilità di un ”soft landing”, ma i rischi che una recessione si verifichi sono ancora presenti. In questo contesto, non ci aspettiamo che i risultati del 2° trimestre del 2023 provochino un taglio significativo delle stime, ma questo sarà sufficiente a invertire la sottoperformance dei titoli mid-small (soprattutto quelli dell’indice STAR) che ha invece continuato ad allargarsi? Finora la liquidità investita nelle mid/small cap ha continuato a diminuire, e quindi l’attenzione si è concentrata soprattutto sulla ricerca di catalyst negativi per capire cosa vendere piuttosto che di quelli positivi per capire cosa comprare. Sebbene sia difficile fare delle previsioni sulle tempistiche, siamo convinti che questa tendenza si invertirà alla luce delle valutazioni di molti titoli di qualità (in particolare quelli del settore digitale) che sono diventate molto interessanti. Nell’ultimo anno, l’indice STAR ha sottoperformato il FTSE MIB del 34%; non riteniamo che ci siano ragioni sostanziali per cui questo divario si possa ampliarsi ulteriormente.

PIR: sono continuati significativi deflussi ad aprile e maggio

Nella sua revisione trimestrale del 25 maggio 2023, Assogestioni ha pubblicato i dati aggiornati sulla raccolta PIR del primo trimestre ‘23. Nel corso del trimestre, i PIR ordinari hanno registrato deflussi per 779 milioni di euro, mentre i PIR alternativi hanno registrato afflussi per 58 milioni di euro. In termini di AuM, i PIR ordinari hanno gestito 17,8 miliardi di euro, mentre 1,5 miliardi di euro sono stati investiti in fondi PIR alternativi. Per quanto riguarda i PIR ordinari, la raccolta netta trimestrale è ulteriormente peggiorata rispetto al 4° trimestre e al 3° trimestre del 2022, quando la raccolta netta era stata rispettivamente di -368 milioni di euro e -330 milioni di euro. Il dato di afflusso è peggiore rispetto a quello reso noto dall’Osservatorio PIR de Il Sole 24 Ore, che stimava 667 milioni di euro di deflussi nel 1° trimestre ‘23 (con gennaio, febbraio e marzo rispettivamente a -166 milioni di euro, -268 milioni di euro e -233 milioni di euro).

Per quanto riguarda i PIR alternativi, gli afflussi nel 1° trimestre ‘23 sono stati pari a 58 milioni di euro, invertendo il trend negativo del 4° trimestre ‘22 (-9 milioni di euro).

Secondo l’Osservatorio PIR, i deflussi sono proseguiti in aprile, a 144 milioni di euro, in rallentamento rispetto ai trend di febbraio e marzo.

Ricordiamo che le caratteristiche del PIR 3.0 sono le seguenti: almeno il 70% del fondo deve essere investito in titoli emessi da società quotate italiane o comunitarie con stabile organizzazione in Italia; di questo 70%, il 25% (cioè il 17,5% del totale del fondo) deve essere investito in titoli non presenti nell’indice principale (FTSE MIB nel caso di titoli quotati in Italia). La principale novità del nuovo regolamento è un investimento minimo obbligatorio del 5% del 70% (o del 3,5% del fondo totale) in small cap non quotate né nel FTSE MIB né nel FTSE MID. Questa misura dovrebbe convogliare i flussi verso un universo di piccole imprese che si prevede possano trarre particolare beneficio dal rinnovato interesse degli investitori. La nuova normativa consente inoltre ai fondi pensione italiani di investire fino al 10% del loro patrimonio in fondi PIR. Il beneficio fiscale (invariato) riguarda ancora l’eliminazione dell’imposta sulle plusvalenze a condizione che l’investimento sia stato mantenuto nel fondo per almeno 5 anni.

Il PIR alternativo, d’altro canto, è un wrapper con benefici fiscali simili a quelli del PIR (esenzione fiscale delle plusvalenze per gli investimenti detenuti per almeno 5 anni) e a sua volta è in grado di investire in ELTIF, fondi di private equity o fondi di private debt. A causa degli investimenti in attività illiquide (più vicine all’economia reale ma più rischiose), gli investitori affluent sono i clienti target. L’importo massimo investibile all’anno è di 300.000 euro per persona (contro i 40.000 euro dei PIR) fino a un massimo cumulativo di 1,5 milioni di euro per persona. Inoltre, il limite di concentrazione (cioè il massimo investimento cumulativo in un singolo titolo) è stato fissato al 20% (il 10% è il limite per i normali fondi PIR).

Questi strumenti alternativi sarebbero infatti adatti a superare la volatilità del mercato, dato il loro impegno a lungo termine, e sono complementari ai fondi PIR in senso più ampio (sono pensati per investitori semi-professionali piuttosto che retail). Riteniamo che l’introduzione dei PIR alternativi potrebbe anche rappresentare una soluzione intelligente all’attuale impasse a livello europeo sugli ELTIF, in quanto i nuovi PIR alternativi hanno il diritto di acquistare fondi ELTIF, beneficiando così indirettamente questi ultimi.

Le nostre stime per i PIR ordinari

I dati di Assogestioni relativi al 1° trimestre del 2023 mostrano 779,1 milioni di euro di deflussi, superiori al dato dell’intero 2022 (733,8 milioni di euro): un risultato decisamente più negativo delle attese, che ci induce a rivedere le nostre stime per l’anno in corso, prevedendo deflussi pari a 1,5 miliardi di euro. Le nostre previsioni, seppur riviste al ribasso, confermano le aspettative di un miglioramento dei numeri nel secondo semestre 2023. Se si guarda alle cause dei riscatti dai fondi PIR, si può certamente ipotizzare che molti investitori, per via delle performance positive alla scadenza dei 5 anni (periodo di investimento minimo necessario per godere dei benefici fiscali sulle plusvalenze), abbiano deciso di incassare per poter indirizzare i propri risparmi verso altri fondi e mercati.

Secondo la stampa, il governo italiano sta studiando un emendamento per consentire agli investitori di detenere più di un piano di risparmio personale (PIR). Il piano non comporterebbe alcun costo aggiuntivo per il governo, poiché il tetto di investimento di 40.000 euro all’anno per persona (o 200.000 euro in 5 anni).

rimarrebbe invariato. Accogliamo con grande favore questa iniziativa, che, se approvata, pensiamo possa rilanciare gli afflussi verso i fondi PIR, in quanto il vantaggio di diversificare su più prodotti PIR potrebbe aumentare gli investimenti dei singoli.

Nel lungo termine, le nostre ipotesi si basano sull’aspettativa che l’interesse per questo prodotto rimanga piuttosto elevato grazie al beneficio fiscale e, dal punto di vista del distributore, al fatto di poter contare su un impegno a lungo termine da parte dell’investitore.

Le principali ipotesi alla base delle nostre attuali stime sono le seguenti:

Per il 2023, ipotizziamo una raccolta lorda di nuovi sottoscrittori di PIR pari a 300 milioni di euro;
Per quanti sottoscrivono Pir in modo continuativo, prevediamo che la raccolta complessiva nel secondo anno sarà pari a una parte della somma accantonata nel primo anno (dal 35% al 40% nel nostro modello); nei restanti anni (cioè dal terzo al quinto anno) prevediamo una raccolta stabile, pari in media al 50% degli investimenti effettuati nel secondo anno;
Infine, calcoliamo che l’ammontare del capitale che verrà ritirato dagli investitori che decideranno di uscire dal fondo prima del termine dei cinque anni (per qualsiasi motivo) sarà pari al ~15% degli Assets under Management nel 2023 e oltre.