L’impresa italiana regge bene all’inflazione

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L’Area Studi Mediobanca ha presentato la nuova edizione dei “Dati Cumulativi”, indagine annuale sulle società industriali e terziarie italiane di grande e media dimensione analizzate nel decennio 2013-2022. Il fatturato delle 2150 imprese ha segnato nel 2022 un incremento annuo nominale del 30,9%, superando in valore assoluto i 1.000 miliardi di euro. L’industria ha chiuso il 2022 con vendite in aumento del 36,2%, ma senza le attività petrolifere ed energetiche l’incremento si attesta al 15,3%. La presenza delle aziende a proprietà pubblica nel comparto energetico sostiene la crescita delle loro vendite (+57,8%), che ha più che doppiato quella delle imprese private (+22,2%). All’interno della manifattura (+15,3%) il IV capitalismo, rappresentato da imprese manifatturiere di medie e medio-grandi dimensioni a controllo familiare italiano, ha mostrato una maggiore capacità di trasferire sui prezzi di vendita i rincari degli input rispetto a quanto fatto dai gruppi di maggiori dimensioni (fatturato nominale: +17,2% contro +12,2%). Più modesta appare invece la dinamica del fatturato nominale del terziario (+9,7%) rappresentato essenzialmente da distribuzione al dettaglio (+7,9%), telecomunicazioni (-0,3%), trasporti (+20,5%) ed emittenza radiotelevisiva (-7,3%).

Tra il 2021 e il 2022 le 2150 imprese hanno segnato performance decisamente positive quanto alla variazione dei principali margini di conto economico: il valore aggiunto ha registrato un incremento del +7,7%, livello che ridotto a grandezza reale mediante il deflatore del Pil cala al +4,6%. È la manifattura a mostrare la maggiore capacità di gestire i costi dell’inflazione, assorbendone l’impatto e riuscendo a segnare una significativa progressione della redditività rispetto ai cinque anni ante Covid: l’analisi del comparto mostra che l’EBIT margin è salito dal 5,3% al 6% (+13,2%) e il ROE dall’8,2% all’11,2% (+36,6%). In questo ambito si segnalano le variazioni positive delle imprese medie e medio-grandi a controllo familiare (EBIT margin +6,3% e ROE +12,1%) e del made in Italy (+4,3% e +14,3%).

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Opposta la traiettoria seguita dalle imprese del terziario, con un sostanziale dimezzamento dell’EBIT margin – calato dal 6,7% al 3,5% – e del ROI (dal 6,3% al 3,4%) e il passaggio in negativo della redditività netta (ROE) pari al – 0,4% nel 2022. del segmento del tessile. Tra i settori energivori, i risultati appaiono non univoci. I comparti della metallurgia e del vetro, in controtendenza, segnano un miglioramento delle performance in tutti gli indicatori osservati.

L’inflazione non pare dunque aver sortito un effetto univoco sui margini delle imprese manifatturiere nel 2022. I rincari non sembrano infatti mossi da generici automatismi, ma condizionati dal posizionamento che le imprese detengono in termini di tenore qualitativo delle produzioni, di collocamento nelle catene globali del valore, di potere contrattuale sui clienti, di distintività rispetto alla concorrenza e, non ultimo, di capacità di rimodulare la propria struttura di costi per preservare la marginalità. Certamente non appare ravvisabile un effetto negativo sui margini che anzi, per un numero cospicuo di settori, sono migliorati nel 2022 rispetto al periodo pre-Covid. Le imprese della manifattura affrontano le incertezze della congiuntura con cautela, con proiezioni positive sulle vendite totali e oltreconfine del 2023 (+6%). Tali variazioni potrebbero tuttavia attestarsi su valori reali decisamente più contenuti a causa dell’inflazione, difficilmente quantificabili per l’attuale dinamica dei prezzi.

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Per ritrovare un impatto dell’inflazione di portata comparabile al 2022 bisogna risalire al 1980. Pur con tutte le cautele del caso, è stato elaborato un confronto tra i conti economici e patrimoniali del biennio 1979-80 disponibili negli archivi dell’Area Studi Mediobanca e quelli del 2021-2022.

L’analisi ha permesso di mettere in luce aspetti similari, ma anche alcune importanti differenze. La variazione di fatturato registrata nel biennio 1979-80 è pari al +31,6%, analoga ai livelli del 2021-22, che si sono attestati al +30,9%. Anche i costi per acquisti di servizi e materie prime hanno seguito dinamiche affini: +38,4% all’esordio degli anni ’80, +36,7% nel 2022. Tra le diversità spicca l’incidenza dei costi d’acquisto, che nel 1980 era pari all’83,1% e che è salita al 90,6% nel 2022. A cambiare è il peso del costo del lavoro, che valeva il 18,2% del giro d’affari nel 1980 e si è sostanzialmente dimezzato nel corso del tempo, fino a contare per l’8,4% nel 2022. Ciò si deve ad alcuni fenomeni che hanno interessato l’industria nell’ultimo quarantennio tra i quali progresso tecnologico, automazione, ricomposizione settoriale e la spinta alla “servitizzazione”. Nel confronto sono inoltre considerati gli automatismi di recupero dell’inflazione in essere nel 1980 che avevano generato nel periodo una crescita del costo del lavoro pari al +16,9% (a fronte, peraltro, di una flessione dello 0,8% della pianta organica). Nel 2022 l’incremento della stessa voce è stato del +3,5%, sostenuto dall’aumento del numero di dipendenti dell’1,7%. Il 1980 fu contraddistinto da un’esplosione degli oneri finanziari (+43,5%), che arrivarono ad assorbire il 6,5% del fatturato delle imprese: incidenza incomparabile con l’1% del 2022, anno che pure ha consegnato un significativo incremento della stessa voce (+19,8%). Una differenza sostanziale riguarda inoltre il risultato d’esercizio, in forte perdita nel 1980 (oltre 2.000 miliardi di lire) e ampiamente in utile nel 2022 (37 miliardi di euro).

Considerando invece la struttura finanziaria delle imprese, essa appare enormemente più solida nel 2022 rispetto al 1980: il Debt equity ratio si attesta intorno al 81,6%, contro il 194,7% di oltre quarant’anni fa e il costo del debito è pari al 2,5% (nettamente inferiore al 18,3% del 1980). Le disponibilità liquide hanno coperto il 7,2% dell’attivo nel 2022, contro il 2,8% di allora. Appare invece allineato l’assortimento per scadenza della provvista finanziaria: 1/3 nel breve periodo, 2/3 sul medio-lungo termine. In conclusione, le imprese italiane mostrano oggi profili finanziari maggiormente adatti a fare fronte all’inflazione rispetto a quanto accadde negli anni 80.