Nessun iceberg in vista per l’economia statunitense

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I rialzi dei tassi non sono causa di hard landing; sono piuttosto gli iceberg, ovvero gli eccessi nascosti che si accumulano durante le espansioni e che emergono dopo i rialzi, ad affossare la crescita economica

Il ciclo dei tassi del 1989 ha messo a nudo gli eccessi finanziari del boom dei LBO degli anni ’80 e la crisi dei Risparmi e dei Prestiti; i rialzi dei tassi del 1999-2000 hanno rivelato le frodi contabili di importanti società e hanno fatto esplodere una bolla del mercato azionario, mentre il ciclo dei rialzi dei tassi del 2004-2006 si è lanciato a capofitto in una palude di asset gonfiati, con una leva finanziaria aggressiva, illiquidità e opacità applicata al mercato obbligazionario (con il pretesto dell’innovazione finanziaria), creando livelli di complessità mai visti prima.

Al contrario, i picchi dei tassi del 1995 e del 2018 hanno portato a un soft landing. Dal momento che entrambi i cicli di rialzo dei tassi hanno fatto seguito a recessioni piuttosto drammatiche, l’esuberanza e gli eccessi ad essa associati dovevano ancora accumularsi, consentendo alla crescita economica di proseguire e ai rispettivi cicli di rialzo dei tassi di concludersi senza grandi clamori, ossia con un soft landing.

Un altro fattore che può ridurre le probabilità di recessione è la chiarezza delle comunicazioni delle banche centrali. In particolare, la trasparenza sull’andamento dei tassi negli ultimi anni può contribuire a evitare che si accumulino pericolosi eccessi durante le espansioni, il che dovrebbe ridurre la gravità delle contrazioni.

Le riprese più pulite del 1995 e del 2018 fanno rima con quelle del contesto post-COVID, un’espansione che sembra aver evitato i tipici eccessi finanziari che alimentano le recessioni.

In sintesi, è possibile che l’economia statunitense continui a registrare punti deboli, come la correzione del settore immobiliare residenziale dello scorso anno o le difficoltà del settore immobiliare per uffici e delle banche regionali di quest’anno. Tuttavia, più che un iceberg in grado di affondare l’economia, è probabile che si tratti di un semplice relitto o carico gettato a mare di una portata insufficiente per arrestare la crescita.

Ma una curva dei rendimenti inclinata non è un segnale di recessione imminente? Piuttosto che un’indicazione di una stretta creditizia e di un’imminente recessione, attribuiamo l’attuale inversione alla convinzione degli investitori obbligazionari che siamo vicini al picco del ciclo dei tassi d’interesse.

Piuttosto che un presagio di recessione, le curve dei rendimenti invertite in molti mercati sviluppati suggeriscono che la psiche collettiva degli investitori rimanga ancorata all’era dei tassi bassi, convinti che i tassi saranno più bassi nel prossimo futuro. Così come gli investitori non si sono mai rimessi al passo con il calo secolare dei tassi durato 40 anni, la curva invertita potrebbe accompagnarci per un po’ di tempo, lasciando un vantaggio alle strategie sulla curva dei rendimenti del reddito fisso. Inoltre, con la maggior parte dei rialzi dei tassi alle spalle, la volatilità del mercato è destinata a diminuire. È probabile che segua il riemergere della “caccia al rendimento”, che fornisce un vento di coda ai prodotti a spread e incrementa ulteriormente i rendimenti.