Rendimenti obbligazionari in aumento: quali le implicazioni per l’economia?

-

Nell’ultimo mese si è assistito a un sell-off nei mercati del reddito fisso e a un notevole aumento dei rendimenti delle obbligazioni sovrane in tutto il mondo. I rendimenti dei titoli decennali statunitensi hanno toccato il 4,7%, il livello più alto dal 2007. Nel frattempo, i rendimenti dei Gilt decennali hanno toccato il punto più alto dal 2008. Il movimento è stato ampio e globale, con persino i rendimenti giapponesi in rialzo.

Per valutare il significato di tutto ciò per l’economia, dobbiamo fare un passo indietro e guardare ai fattori che hanno determinato l’aumento dei tassi a lungo termine. Il rialzo non è stato guidato da un aumento dei timori per l’inflazione, poiché il confronto con le obbligazioni indicizzate all’inflazione mostra che i tassi breakeven impliciti sono rimasti stabili. In effetti, le notizie sull’inflazione di recente sono state incoraggianti: gli indici dei prezzi al consumo “headline” risultano in calo, mentre l’inflazione “core” si è lievemente ridotta.

Al contrario, il movimento è stato guidato da un aumento dei rendimenti reali, ossia il livello atteso dal mercato dei tassi di interesse dopo l’aggiustamento per l’inflazione. Non è facile stabilire con esattezza le cause di questo fenomeno, poiché la misura del rendimento reale comprende una serie di fattori. Tuttavia, due sembrano essere importanti in questa fase.

Il primo è la consapevolezza che la traiettoria dei tassi di interesse resterà più alta di quanto i mercati pensassero in precedenza. L’attuale forza dell’economia statunitense e l’abbandono delle previsioni di recessione hanno spinto la Fed a mantenere i tassi più alti più a lungo del previsto per raffreddare l’economia. A questo proposito, i mercati hanno perso nel confronto con la Fed, in quanto il grafico a punti si è mantenuto costantemente al di sopra delle proiezioni di mercato per i tassi di interesse. Sebbene questo sia un punto a favore della Fed, questa spiegazione arriva solo fino a un certo punto, poiché le decisioni sulla politica monetaria hanno un impatto decrescente man mano che ci si sposta lungo la curva dei rendimenti.

Una delle caratteristiche principali della recente crisi obbligazionaria è stata l’irripidimento della curva dei rendimenti, con quelli di lungo termine che sono aumentati più di quelli sul breve. Di conseguenza, il secondo fattore sembra riflettere le preoccupazioni per il livello del debito pubblico e l’aumento delle emissioni obbligazionarie. L’indebitamento pubblico ha subito un’impennata durante la pandemia e si è attenuato durante la ripresa delle economie. Tuttavia, non è tornato ai livelli pre-pandemici e si prevede che nel prossimo futuro rimarrà al di sopra del 100% del PIL per i Paesi del G20.

Le preoccupazioni sono aumentate soprattutto per il deficit negli Stati Uniti, che è cresciuto notevolmente nonostante il basso livello di disoccupazione. Di norma, bassi tassi di disoccupazione sono associati a un basso indebitamento pubblico, se non addirittura a un avanzo. Oggi il deficit di bilancio si aggira intorno al 7% del PIL con un tasso di disoccupazione di appena il 3,8%. Ciò implica che il deficit sottostante o corretto per il ciclo potrebbe essere dell’8 o 9% rispetto al PIL, vicino ai livelli raggiunti all’indomani della crisi finanziaria globale, quando la disoccupazione era del 10%. Oltre al deficit di bilancio, l’offerta di obbligazioni aumenterà in quanto la Fed continuerà a ridurre il proprio bilancio, fermando gli acquisti di asset avviati durante la pandemia e nel periodo precedente. Secondo le nostre stime, ciò equivale a una riduzione della domanda di obbligazioni pari a 780 miliardi di dollari nel corso del prossimo anno.

Se a ciò si aggiunge il deficit di bilancio, stimiamo che nel prossimo anno gli investitori saranno chiamati ad acquistare 2.730 miliardi di dollari di titoli del Tesoro, pari a circa il 10% del PIL e il 50% in più rispetto all’anno scorso. Nel Regno Unito la situazione è simile: un deficit di bilancio di 140 miliardi di sterline va di pari passo con un programma di quantitative tightening (QT) di 100 miliardi di sterline che farà aumentare l’offerta di Gilt a circa l’8% del PIL. Questi sviluppi sul fronte dell’offerta dei mercati obbligazionari stanno aumentando il rendimento richiesto dagli investitori per detenere asset a lunga scadenza, noto come premio a termine.

L’impatto sull’economia

L’aumento dei rendimenti dei titoli sovrani ha spinto i tassi al rialzo nei mercati del credito e dei mutui, determinando un ampio inasprimento delle condizioni finanziarie. In questo senso, i mercati stanno compiendo il lavoro della Fed – un punto sottolineato anche da recenti interventi della banca centrale americana. Il presidente della Fed di San Francisco Daly ha osservato che i movimenti dei mercati “potrebbero equivalere a un altro rialzo dei tassi”.

Per valutare l’impatto sulla crescita, utilizziamo l’indice FCI-G (Financial Conditions Impulse on Growth) della Fed, da cui possiamo dedurre gli effetti ritardati delle variazioni dei rendimenti e dei prezzi degli asset. Ciò dimostra che i venti contrari per la crescita del PIL sono destinati ad aumentare nei prossimi mesi, man mano che gli effetti dell’aumento dei tassi si propagano all’economia. In termini di crescita, ciò equivale a un punto percentuale in meno per la crescita del PIL reale nel 2024. Questo fenomeno è in gran parte determinato dall’aumento degli spread creditizi, dall’incremento dei tassi ipotecari e dal rafforzamento del dollaro. Anche la moderazione dei prezzi degli immobili residenziali sta contribuendo a ridurre il sostegno all’attività.

Naturalmente, questo dato deve essere considerato nel contesto dell’attuale forza dell’economia e di altre forze, come la ripresa dei prezzi del petrolio in seguito ai recenti tragici eventi in Medio Oriente. Tuttavia, stando ad alcuni indicatori, l’aumento dei costi di finanziamento sta iniziando a pesare sui consumatori. Nel complesso, l’aumento dei rendimenti obbligazionari rafforza la nostra opinione che la crescita statunitense e globale rallenterà ulteriormente nel corso del prossimo anno e che la Fed non inasprirà ulteriormente la politica in questo ciclo.

Si romperà qualcosa?

Gli aumenti significativi del costo del credito spesso portano a chiedersi se qualcosa si “romperà” nell’economia e scatenerà una crisi più grave. Gli obbligazionisti potranno subire perdite significative, creando una potenziale necessità di raccolta di capitali. Fortunatamente non si sono ripetuti i problemi visti nel settore dei fondi pensione del Regno Unito, dopo la debacle del mini-Budget dello scorso settembre. Più in generale, in quanto detentore significativo di obbligazioni, il settore bancario potrà subire perdite, anche se non si è ripetuta la crisi registrata all’inizio dell’anno negli Stati Uniti. Ciò potrebbe riflettere il continuo sostegno alle banche da parte della Fed, le cui misure hanno contribuito a ripristinare la fiducia nel settore. L’aumento dei tassi d’interesse accrescerà la pressione sugli immobili commerciali, ma questo non è un problema nuovo, visti i problemi strutturali che il settore ha dovuto affrontare dopo la pandemia.

Un importante default potrebbe emergere col tempo, quando i debitori scopriranno di non potersi permettere di rifinanziare il debito e aumenteranno gli emittenti che nel 2024 dovranno affrontare il “muro delle scadenze” nei mercati del credito. Tuttavia, in questa fase l’implicazione più importante dell’aumento dei rendimenti obbligazionari è la più ovvia: il vincolo posto alla politica fiscale e alla capacità dei governi di tagliare le tasse o aumentare la spesa. La combinazione di livelli di debito più elevati dopo la pandemia e di tassi di interesse più alti significa che i pagamenti degli interessi sono destinati ad assorbire una quota crescente della spesa pubblica. Riducendo il margine di manovra dei governi, questo limiterà la loro capacità di stimolare l’attività in futuro e aumenterà i rischi negativi per la crescita.