Il grande sell-off del mercato dei tassi, e adesso?

Ralph Gasser, Head of Fixed Income Investment Specialists di GAM -
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Il rischio di duration dei tassi d’interesse era un tempo un’attività redditizia. Ora non più. Infatti, la correzione dei rendimenti di mercato iniziata seriamente all’inizio del 2022 si è trasformata nel peggior drawdown in termini di rendimenti totali nominali dalla fine del XVIII secolo.

Se si prende in considerazione il Treasury USA, ad esempio, il 2022 è stato il suo annus horribilis, con un rendimento totale che ha raggiunto un -16,3% senza precedenti. E con i mercati dei tassi che continuano a cedere quest’anno, i rendimenti totali a tre anni si attestano ora a -24,5% (al 25 ottobre 23), un calo più che doppio rispetto al peggior periodo corrispondente della storia. Il quadro non è molto dissimile altrove, ovvero nella maggior parte delle economie avanzate.

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Per quanto riguarda i fattori alla base di questo crollo, possiamo scomporre i rendimenti nominali nei loro sottocomponenti sottostanti: i tassi di breakeven, ossia le aspettative di inflazione implicite nel mercato derivate dalle obbligazioni inflation-linked con la stessa duration, e i tassi reali residui. Le aspettative di inflazione in rapida crescita, riflesse dai tassi di pareggio, sono state la forza dominante dei tassi nominali nel 2020. Ma ciò è stato ampiamente compensato da tassi reali ancora in calo. All’inizio del 2022, tuttavia, la situazione è cambiata drasticamente: mentre i tassi di breakeven a 10 anni si sono assestati in una fascia compresa tra il 2,25% e il 2,5%, i tassi reali hanno registrato un’impennata di oltre il 3,5% dall’inizio del 2022 e non mostrano ancora segni di inversione.

Ma perché questa esplosione dei tassi reali? E cosa dobbiamo aspettarci da qui in avanti?

In teoria, e in senso molto lato, il tasso reale dovrebbe essere il tasso al quale l’inflazione viene mantenuta al livello obiettivo e l’economia opera in condizioni di piena occupazione – né espansiva né contrattiva.

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In pratica, e in gran parte a causa di ciò, i tassi d’interesse reali per tutte le scadenze e per la maggior parte delle economie avanzate hanno registrato un costante declino dalla metà degli anni ’80, amplificato dalle varie misure straordinarie di politica monetaria introdotte dalle banche centrali a partire dalla crisi finanziaria globale. Ma i tempi sono cambiati. In particolare, dal 2022 la politica monetaria delle banche centrali si è inasprita in modo aggressivo in risposta a un’inflazione spiacevolmente elevata, sia aumentando i tassi sia iniziando a ridurre le massicce riserve obbligazionarie accumulate nel corso dei precedenti programmi di quantitative easing (QE).

Data l’estrema correzione dei tassi d’interesse reali e, con essi, dei tassi nominali, siamo tornati al fair value oggi, con acque più calme davanti a noi?

Se riteniamo che i fattori alla base dei tassi di interesse reali siano sostanzialmente simili a quelli che guidano l’attività economica, la risposta a prima vista sarebbe probabilmente “sì”. I tassi reali sono finalmente tornati a corrispondere ai tassi di crescita del PIL reale, come avveniva per la maggior parte del tempo prima delle misure straordinarie di politica monetaria introdotte dalle banche centrali. Questo “sì”, tuttavia, implica che le attuali previsioni di consenso del mercato sulla crescita economica reale e nominale siano corrette e che le valutazioni siano puramente guidate dai fondamentali, cosa che, come sappiamo, nella maggior parte dei casi non avviene.

A nostro avviso, ci sono ancora molti venti contrari sia per i rendimenti reali che per quelli nominali. Per citarne solo alcuni, le attuali previsioni economiche presentano un elevato potenziale di sorpresa, sia in positivo che in negativo, in un contesto geopolitico fragile a livello globale. Inoltre, le banche centrali occidentali possono anche aver finito di aumentare i tassi, ma non di ridurre le massicce riserve obbligazionarie accumulate nel corso dei precedenti programmi di QE. Ciò elimina un acquirente marginale di obbligazioni del mercato core.

Inoltre, il governo statunitense è destinato a registrare un deficit di bilancio annuale pari a circa il -6% del PIL ogni anno per i prossimi tre anni, quasi il doppio del tipico tasso strutturale del -3% -3,5%. Poi, nel 2024 i mercati obbligazionari saranno interessati da un pesante rifinanziamento dei titoli di Stato e societari esistenti, tutti alla ricerca di un’offerta nello stesso momento. Infine, in un contesto di tassi a breve termine più alti e più lunghi, le quantità record di liquidità oggi detenute in prodotti a breve termine dovranno essere attirate fuori dalla curva per soddisfare queste enormi richieste di finanziamento, il che richiederà premi a termine positivi e non negativi. Tutti questi fattori non favoriscono un calo dei tassi reali a breve, anzi. Se aggiungiamo che l’inflazione core rimane viscosa e che gli effetti deflazionistici di base dei prezzi dei generi alimentari e dell’energia si stanno già esaurendo rapidamente, anche i breakeven potrebbero essere soggetti a sorprese al rialzo da qui in avanti.

Quindi, se a prima vista il rischio di duration sui tassi d’interesse può sembrare di nuovo un’attività redditizia, una prospettiva più sobria, in particolare sulle dinamiche della domanda e dell’offerta, suggerisce il contrario. Per lo meno i rendimenti odierni del carry dei rendimenti offrono un po’ di conforto.