Usa destinati a rallentare in assenza di ulteriori stimoli
Negli USA stanno emergendo i primi segnali di un possibile rallentamento dell’economia. Mentre i dati dalla Cina sorprendono le attese, il Giappone continua a fare progressi sempre più evidenti verso l’obiettivo di raggiungere tassi di inflazione intorno al 2% in modo sostenibile nel tempo. Nei prossimi mesi saremo particolarmente attenti a due possibili rischi. Da un lato, un possibile rimbalzo dei prezzi del petrolio. Anche se non ci aspettiamo che ciò accada, un barile di greggio ben al di sopra dei 100 dollari su base duratura potrebbe mettere le banche centrali in una situazione complicata, proprio perché avverrebbe in un contesto in cui l’inflazione è già da tempo al di sopra dell’obiettivo. D’altra parte, presteremo attenzione anche al possibile emergere di tensioni sui mercati dei titoli di Stato, vista la complicata situazione in cui si trovano diversi Paesi.
I primi effetti del rialzo dei tassi
Nonostante il dato di crescita del Pil americano nel terzo trimestre sia stato eccezionalmente forte, stanno emergendo i primi effetti del forte aumento dei tassi reali a medio e lungo termine sull’immobiliare, settore molto sensibile alle condizioni di finanziamento. La recente crescita, seppur moderata, delle richieste di sussidi di disoccupazione potrebbe indicare una progressiva correzione dell’enorme eccesso di domanda che sta caratterizzando il mercato del lavoro statunitense. Sebbene le richieste rimangano compatibili con un livello molto basso di licenziamenti, il fatto che stiano aumentando sarebbe un segnale di maggiori difficoltà per le poche persone licenziate a trovare un nuovo lavoro. Allo stesso tempo, il calo del tasso di risparmio delle famiglie statunitensi fa pensare che i consumi privati in futuro non saranno robusti come si è visto quest’anno.
Inoltre, i dati del bilancio pubblicati lo scorso ottobre hanno mostrato un enorme aumento del deficit pubblico, che confermerebbe il sostegno dato dalla politica fiscale alla domanda aggregata statunitense nel 2023. Tenendo conto delle divisioni nelle camere legislative e sapendo che il debito pubblico USA è su una traiettoria insostenibile, è molto difficile pensare che la politica continuerà a sostenere l’attività economica del Paese, almeno non ai livelli degli scorsi anni. Anche in Germania, in cui si è fatta sentire per tutto il 2023 l’assenza di stimoli all’economia, i più recenti indicatori iniziano a mostrare segni di stabilizzazione.
Quanto all’inflazione, negli ultimi mesi i dati sull’inflazione core statunitense indicano una stabilizzazione, mentre le aspettative di inflazione a breve termine delle imprese statunitensi si stanno già avvicinando a tassi coerenti con quello che sarebbe l’obiettivo di inflazione della Fed. Anche i prezzi nell’area dell’euro sono in frenata, in un contesto in cui le aspettative di inflazione a medio termine rimangono contenute.
Cina meglio delle attese, Giappone in progresso
In Cina, invece, non mancano segnali di miglioramento dell’economia. Sebbene permanga un sentiment negativo nei confronti del gigante asiatico, la maggior parte dei recenti dati ha chiaramente sorpreso in positivo. Guardando al futuro, il fatto che le autorità siano sempre più disposte ad aumentare l’intensità degli stimoli fiscali e monetari ci rende costruttivi sull’andamento dell’economia cinese nell’ultima parte di quest’anno e anche nel 2024. Gli ultimi dati provenienti dal Giappone confermano un significativo progresso dell’inflazione: al netto degli alimenti freschi e dell’energia, rimane ben al di sopra dell’obiettivo del 2% su base annua, in un’economia che per il resto continua a mostrare segni di crescita superiore al potenziale.
View di mercato
Titoli di Stato: negli Stati Uniti, preferiamo continuare a puntare sulla parte breve della curva (fino a 2 anni), almeno fino a quando non vedremo segnali di rallentamento dell’attività economica statunitense. Nell’Eurozona riteniamo che si debba mantenere un atteggiamento cauto sul debito periferico, in attesa che i Paesi più indebitati siano in grado di produrre strategie di consolidamento fiscale ragionevolmente credibili. Per quanto riguarda il Giappone, la nostra previsione rimane che il rendimento a 10 anni tenderà a salire sensibilmente tra 6-9 mesi.
Azioni: nella misura in cui vediamo una ripresa macro negli Stati Uniti, ci aspettiamo che i rendimenti a 10 anni aumentino sensibilmente tra 6-9 mesi. Continuiamo a ritenere che il segmento value/ciclico del mercato, comprese le banche europee, dovrebbe fare meglio del segmento growth/difensivo, in un contesto in cui riteniamo che i tassi reali rimarranno ragionevolmente elevati su base strutturale. Dal punto di vista geografico, preferiamo i mercati europei e asiatici a quelli nordamericani.
Credito: continuiamo a preferire le obbligazioni societarie perché nel nostro scenario macro i tassi di default non dovrebbero aumentare troppo. Riteniamo, tuttavia, opportuno combinare l’esposizione al credito con posizioni ben selezionate in titoli di Stato emergenti in valuta locale.
Valute: al momento puntiamo solo su un’esposizione molto moderata al dollaro, perché riteniamo che il rallentamento degli Stati Uniti arriverà presto. Visti i buoni segnali che il Giappone sta generando, riteniamo che lo yen, in dosi prudenti, possa essere una buona copertura per il resto dell’anno. Per il resto, manteniamo una visione positiva su valute come la corona norvegese, il dollaro neozelandese e australiano. Continuiamo, infine, ad apprezzare le valute dei Paesi emergenti con una buona governance macro e prospettive di crescita economica favorevoli.