Outlook 2024, azionario mercati emergenti

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I mercati azionari emergenti sono ancora sottopesati, sottovalutati e poco apprezzati, a nostro giudizio, più che negli ultimi dieci anni. Ciò che manca, secondo noi, è un catalizzatore “risk-on” in grado di liberare il loro intrinseco potenziale di rendimento e far apprezzare agli investitori il limitato potenziale di ribasso di quest’asset class. In breve, i mercati emergenti offrono un profilo di rischio e rendimento invidiabile.

I mercati internazionali oscillano tra uno scenario Goldilocks e la prospettiva di tassi di interesse alti più a lungo, mentre i flussi locali sono in forte aumento in India, Cina e Taiwan. A ciò si aggiunge la prospettiva di una traiettoria al rialzo durata un decennio e il rischio concreto di non trovarsi pronti quando finalmente ci sarà la svolta per le azioni dei mercati emergenti.

Ci sono diversi possibili catalizzatori, tra cui il dollaro e il rendimento dei titoli del Tesoro al picco, dopo che l’indice in dollari ha toccato il massimo in 26 anni. Entrambi i fattori favorirebbero molto le azioni dei mercati emergenti, in particolare i titoli value. Crediamo che le azioni dei mercati emergenti si trovino in una situazione rara, in un’ottica a lungo termine, ovvero presentano entry point ciclici estremamente interessanti, oltre che fattori secolari favorevoli, una confluenza di elementi potente ma rara. Giovano in particolare le valutazioni cross-asset convenienti delle azioni dei mercati emergenti, con ampi dividendi demografici e un Pil pro capite in aumento (soprattutto in India). Anche se la crescita economica globale fosse deludente, è improbabile che le azioni dei mercati emergenti riportino performance inferiori ai Paesi sviluppati. Secondo noi, hanno un buon potenziale di rialzo in dollari.

I fattori trainanti per i mercati azionari emergenti sono molteplici. Tra i fattori ciclici positivi ci sono il Pil e i ricavi aziendali più elevati di quelli dei mercati sviluppati, oltre a una “crescita a prezzi ragionevoli” più bassa, in presenza di un buon rendimento. Le azioni dei mercati emergenti, a nostro giudizio, sono interessanti per chi investe in valore, crescita e rendimento.

L’evoluzione delle azioni dei mercati emergenti

Quest’asset class non assomiglia più molto al vecchio indice dei mercati emergenti di un decennio fa. Nel 2004 l’indice aveva solo quattro Paesi investment grade ai primi 11 posti, oggi ce ne sono nove. Il debito e le dinamiche di servizio del debito nei mercati emergenti, sia per i titoli di Stato che per le obbligazioni societarie, sono assai inferiori a quelli dei Paesi sviluppati. I Paesi emergenti hanno generalmente evitato il decennio di Quantitative Easing caratterizzato da tassi reali negativi e, ciononostante, presentano ancora carry elevati, sebbene le banche centrali segnalino un’inflazione dei prezzi alla produzione e al consumo inferiore ai tassi nominali. I due Paesi non investment grade, Sud Africa e Brasile, hanno valute relativamente stabili, malgrado l’incertezza sulle aspettative sul Pil globale.

La presenza di centri d’eccellenza nella robotica/intelligenza artificiale (Corea/Cina), veicoli elettrici (Cina), consulenza globale (India), materiali per veicoli elettrici (platino in Sud Africa, litio/rame in America Latina, terre rare in Malesia) e centri industriali d’alta gamma per l’onshoring in Polonia/Messico e Vietnam/Romania, sono fonti importanti degli investimenti esteri diretti e degli utili per azione dei Paesi emergenti. Non sono più le economie degli anni ‘90 basate sulle esportazioni, agricole e a basso valore aggiunto. La qualità e la capacità di resistenza portano a una maggiore stabilità degli utili per azione, e potenzialmente a un obiettivo di espansione dei multipli più alto.

La domanda locale in India è enorme, basti pensare al numero dei nuovi conti bancari negli ultimi dieci anni (più dell’UE). A ciò si aggiunga che l’economia cinese beneficerà degli stimoli fiscali introdotti. e si giunge a un lungo elenco di fattori strutturali positivi. Nel breve termine, un’economia pianificata come la Cina può risolvere le problematiche economiche più direttamente, con il coordinamento a livello statale.

Il rischio di restare esclusi

Le valutazioni e i prezzi delle azioni dei mercati emergenti sono vicino ai minimi storici, mentre l’opposto vale per le azioni dei mercati sviluppati. Il periodo 2010-2023 assomiglia al decennio perduto dei mercati azionari emergenti, per via delle crisi asiatiche e della SARS nel 1994-2004, prima della massiccia rivalutazione successiva.

Un primo catalizzatore è stato il segnale di riduzione del costo del capitale a fine ottobre/inizio novembre 2023. Abbiamo assistito a un rally dell’azionario, al calo dei rendimenti obbligazionari e alla svalutazione del dollaro dopo la pubblicazione di dati che indicavano il rallentamento dell’inflazione complessiva e core a ottobre. I dati più deboli del previsto hanno alimentato la speranza che il ciclo di rialzi dei tassi da parte della Federal Reserve fosse giunto al termine e che ci sarebbero stati dei tagli nel 2024. In tale scenario, le azioni dei mercati emergenti dovrebbero continuare a sovraperformare gli strumenti alternativi cross-asset, nonché le azioni dei mercati sviluppati.

Il rischio è chiaramente di restare esclusi, non il contrario, eppure le azioni dei mercati emergenti vengono ancora erroneamente percepite come dipendenti dal flusso degli utili per azione del passato. Noi crediamo che la percezione sia rimasta indietro rispetto alla realtà. La paura di restare tagliati fuori e di non riuscire a sfruttare un rally emerge quando si comprende che il costo opportunità potrebbe essere alto. A quel punto si comprenderanno i meriti di quest’asset class. A noi sembra dunque che la definizione stessa di mercati azionari emergenti non sia corretta, così come i prezzi e la conoscenza di questi mercati. Crediamo che la rivalutazione dei multipli di utile possa riaccendere l’entusiasmo come avvenne nel 2004/2008. E anche questa volta potrebbe toglierci il fiato.