Come combattere la discriminazione di genere in Italia alla luce degli ultimi sviluppi?

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La lotta contro la discriminazione di genere in Italia richiede un impegno su più fronti, che spaziano dalla legislazione alla sensibilizzazione sociale. Nonostante gli interventi legislativi che hanno regolato la materia, la parità è ancora lontana e il divario si è ulteriormente allargato gli anni scorsi durante il periodo del  Coronavirus.

La Carta Sociale Europea Riveduta (CSER) del 1996, adottata nell’ambito del Consiglio d’Europa, ha sancito all’art. 20 il diritto alla parità di opportunità e di eguale trattamento nell’accesso al lavoro, nelle condizioni di impiego e di lavoro (ivi compresa la retribuzione), nella tutela in caso di licenziamento e reinserimento professionale, nell’orientamento, nella formazione professionale nonché nelle progressioni di carriera, comprese le promozioni.

Tale disposizione va interpretata nel senso del più ampio divieto di ogni discriminazione, diretta o indiretta, e dell’assoluta eguaglianza dei lavoratori, a prescindere dalla loro appartenenza al settore pubblico o a quello privato, senza distinzione per coloro che sono impegnati a tempo pieno o a tempo parziale.

L’impegno degli Stati membri in materia è stato formalizzato nel Patto europeo per l’uguaglianza di genere del Consiglio per il periodo 2011-2020. Si è aggiunto inoltre l’impegno a lottare contro ogni forma di violenza contro le donne. Quest’ultima, al pari di altre forme di discriminazione, costituisce un vero ostacolo alla parità tra donne e uomini.

L’indagine Ipsos

E’ un’Italia ancora fortemente caratterizzata da disuguaglianze di genere negli ambiti di lavoro, famiglia, istruzione e accesso al potere quella che emerge dall’indagine che Ipsos ha svolto in tre fasi (qualitativa, quantitativa e desk) per il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con un focus sulla violenza di genere.

Svolto con interviste su 1.300 persone di età compresa tra i 16 e i 70 anni, il focus conferma una discreta sensibilità dell’opinione pubblica sulla violenza contro le donne (il 57%, infatti, ritiene che se ne parli troppo poco), ma fa anche emergere che il 71% non è a conoscenza di strumenti o misure adottati dallo Stato per combattere il fenomeno, i quali vengono peraltro considerati inefficaci dal 75% della popolazione. Segnale questo da un lato della necessità di un grande lavoro
di informazione e comunicazione degli attuali strumenti in essere, dall’altro della percezione dei cittadini di un problema grave ed ancora lontano dall’essere risolto o affrontato in modo efficace.

Anche se la settimana scorsa il Comitato per l’eliminazione della discriminazione contro le donne (ONU), esaminando l’ottavo rapporto periodico dell’Italia, la ha elogiata per la sua solida architettura di genere, in realtà ha anche deplorato la lentezza dei progressi compiuti dall’Italia in materia di rappresentanza politica.

Le strategie che possono essere adottate

In primis rafforzare e far rispettare le leggi esistenti contro la discriminazione di genere, e implementare politiche che promuovano l’uguaglianza e la parità di opportunità sul lavoro, nell’istruzione e in altri settori della società. Ma non basta: andrebbe introdotta l’educazione di genere nei programmi scolastici, per promuovere la consapevolezza e la comprensione delle questioni legate alla discriminazione di genere sin dall’infanzia, ma anche condurre campagne pubbliche di sensibilizzazione per promuovere l’uguaglianza di genere, sfatare stereotipi di genere dannosi e incoraggiare una cultura rispettosa e inclusiva.

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Formazione

Offrire formazione obbligatoria sulle tematiche di genere e sulla prevenzione della discriminazione per i dipendenti di aziende, organizzazioni e istituzioni pubbliche e promuovere l’accesso delle donne alle posizioni di leadership e responsabilità politiche, economiche e sociali, anche attraverso politiche di quote o altri strumenti.

Sostegno alle vittime. Migliorare l’accesso alle risorse e ai servizi di sostegno per le vittime di discriminazione di genere, compresi centri antiviolenza, servizi di consulenza e assistenza legale, condurre ricerche regolari sulla discriminazione di genere per monitorare i progressi, identificare aree problematiche e informare l’elaborazione di politiche e interventi mirati, collaborare con organizzazioni internazionali, ONG e altri Paesi per condividere conoscenze, buone pratiche e risorse per combattere la discriminazione di genere in modo più efficace.

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Quali sono i dati o le fonti che dobbiamo guardare quando cerchiamo di capire se c’è discriminazione nei confronti delle donne?

Tra le fonti che possiamo usare ci sono:
  • lo European Institute For Gender Equality (EIGE)
  • i dati di UN Women
  • il World Economic Forum con il suo Global Gender Gap Report.

A livello nazionale ci sono diversi report importanti: c’è quello dell’Inps sulla differenziale salariale per i lavoratori dipendenti del settore privato, ci sono i dati dell’Ispettorato nazionale del lavoro che riguardano per esempio le dimissioni, dove troviamo informazioni su quali persone fanno richiesta di dimissioni e quante vengono accolte. Ci sono tutti i dati sulle discriminazioni che le donne sperimentano sul mercato del lavoro.

Il gender pay gap

Passando alla tipologia di dati, dobbiamo guardare al differenziale salariale, al gender pay gap, al tasso di occupazione femminile comparato con quello degli altri Paesi, il tasso di occupazione delle donne in età fertile. che è un dato auto-esplicativo: perché già il fatto che noi rileviamo queste informazioni solo per le donne e non per gli uomini chiaramente ci racconta qualcosa. Ci sono dei dati interessanti della Banca Mondiale sulla quota di donne che ricoprono posizioni di leadership, che nel 1995 era il 10% a livello mondiale ed oggi (quasi trentanni dopo…) è ancora il 10%. Anche i dati della UNDP (Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo) in particolare il Gender Social Norms Index (GSNI) fanno notare come la società mette in atto una serie di comportamenti che purtroppo vanno nella direzione di rafforzare uno stereotipo non confortante. Uno su tutti: quasi il 50 per cento della popolazione mondiale, secondo questo report, ritiene che sia più importante per un uomo piuttosto che per una donna avere un lavoro.

Questa è una proiezione evidente del sistema patriarcale per cui l’uomo viene misurato in base al denaro che riesce a produrre e la donna invece no, basta che faccia figli. E quando le aziende devono scegliere se assumere un uomo o una donna spesso perpetuano questa situazione, anche a causa della normativa sul congedo di paternità e di maternità, che nella maggior parte dei Paesi penalizza le madri, obbligate a prendere il congedo di 5 mesi, mentre i padri, che in Italia hanno 10 giorni, scelgono di sfruttarlo solo nel 57% dei casi.