Lemanik: qualunque cosa farà la Fed sui tassi, avremo una recessione

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Gli Stati Uniti non sono mai stati particolarmente abili nella gestione delle variabili finanziarie, anche se il “consenso” tende a credere che la Fed abbia il totale controllo del sistema. Dal 1900 a oggi, tutte le crisi finanziarie che si sono propagate a livello globale sono partite sempre dalla speculazione finanziaria targata Usa. La frequenza degli eventi è tale da far considerare tali accadimenti non come “tail risks” o “cigni neri” come si tende a far credere. La storia delle crisi finanziarie è particolarmente importante perché fa capire come funziona la finanza solo se si capisce come si genera una crisi. Dal 1900 a oggi abbiamo avuto ripetuti eventi sistemici: 1907, 1921, 1929, 1971, 1973-74, 1981, 1987, 1990, 1992, 1994, 1998, 2000, 2008, 2020. Solo tre di questi eventi sono stati causati da shock esterni: nel 1973/74 la crisi petrolifera, nel 1990 la guerra del Golfo e nel 2020 la pandemia. Tutti gli altri sono stati eventi determinati da policy mistake, crisi valutarie e bolle finanziarie nell’80% dei casi.

In sostanza abbiamo avuto 14 eventi sistemici in circa 113 anni, con una media di un evento ogni dieci anni circa, ma a partire dal 1987 la frequenza degli eventi si è intensificata a causa della crescita della “finanziarizzazione” del sistema, alzando la frequenza statistica di un evento sistemico ogni cinque anni circa. Analizzando in dettaglio possiamo dire che nel periodo 1900-1930, le tre crisi sistemiche sono state procurate da crisi finanziarie: il panico bancario del 1907, la crisi depressiva del 1921, la crisi della borsa del 1929. Tra il 1970 e il 1981, gli eventi sono stati determinati da una crisi finanziaria procurata dal Dollaro nel 1971, uno shock petrolifero nel 1973/74 e una politica monetaria ultra restrittiva nel 1981. Quello che preoccupa è che dal 1970, su 11 eventi sistemici, ben otto sono stati determinati da crisi finanziarie e solo tre da eventi “tail risk” (Shock petrolifero, guerra del Golfo e pandemia). La frequenza statistica delle crisi finanziarie cresce in modo significativo e così anche l’impatto sull’economia reale. Delle 14 crisi economiche finanziarie elencate, dieci sono state procurate dagli Stati Uniti (di cui otto finanziarie), una dalla crisi del 1998 sui mercati asiatici e nel 1992 la crisi valutaria in Europa, e solo tre (in 113 anni) da eventi “tail risk”, cioè non prevedibili. La mala gestione delle variabili finanziarie ha creato seri problemi nei primi vent’anni del novecento, tali problemi hanno prodotto significativi impatti sull’economia reale, al punto che si è resa necessaria un’ampia riforma della regolamentazione dei mercati. Fino al 1984/85, le riforme introdotte dopo la crisi del 1929 hanno ridimensionato la finanza nell’economia e hanno soppresso i rischi di crisi finanziarie. Ma dalla metà degli anni 80 si è avviata una costante deregulation, al punto che gli eventi finanziari sono tornati a impattare sull’economia reale con sempre maggiore frequenza. I tempi cambiano ma i meccanismi monetari e speculativi che hanno generato le crisi sono stati più o meno sempre uguali e assolutamente simili a quelli sperimentati nel periodo 1907-1929. Da questo punto di vista, il concetto del “this time is different” non ha mai funzionato.

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La gestione delle variabili finanziarie

Tornando alla capacità di gestione delle variabili finanziare da parte degli Stati Uniti, appare evidente che storicamente tale capacità non è mai stata così evidente come si vuole far credere. Attualmente la Fed ha sorpreso i mercati con dichiarazioni ultra espansive sulla probabile traiettoria dei tassi d’interesse nel corso dei prossimi mesi. Ci si deve chiedere come mai la banca centrale abbia voluto procurare condizioni finanziarie ultra espansive, tramite il risk on dei mercati finanziari, in un contesto di economia che cresce in media al 2,5% circa nel 2023, con la piena occupazione e con l’inflazione che rischia di interrompere la sua discesa. C’è un motivo preciso del perché è stato fatto: in realtà l’economia non è così forte come si vuol far credere, i rischi finanziari nel sistema sono fuori controllo dopo 14 anni di QE, i tassi di insolvenza stanno cominciando a crescere in modo evidente e l’economia cresce solo grazie agli interventi fiscali. Lo Shadow Banking è la principale fonte di preoccupazione. La crisi dei Fondi Pensione, del Private Equity e del Venture Capital sta iniziando a emergere in modo sempre più evidente. Le cartolarizzazioni del credito si sono completamente fermate per i CMBS (-85% y/y) e sono in netta riduzione per gli ABS (-13% y/y), che sono molto importanti per il settore del credito al consumo, il quale sostiene il 30% dei consumi interni Usa. Il 21% del Pil Usa è fatto da consumi “finanziati” attraverso il credito al consumo, se si fermano le cartolarizzazioni l’intero settore si ferma. Le cartolarizzazioni sono il meccanismo di trasmissione monetario più importante del sistema finanziario americano e vengono gestite prevalentemente dallo Shadow Banking System. In pratica, il principale meccanismo di trasformazione delle scadenze e di trasformazione della liquidità del sistema finanziario americano avviene su mercati illiquidi e non regolamentati. Per questo motivo abbiamo avuto le crisi del 2001 e del 2008, che si sono poi propagate al settore tecnologico nel primo caso e al real estate nel secondo. Chi non sa come funziona il mercato dei MBS, CMBS, ABS e CLO, che sono alla base del meccanismo di trasformazione della liquidità e vale circa 19 trilioni di dollari, non sa praticamente nulla di finanza americana. Quando le cartolarizzazioni si fermano, il credito all’economia si ferma e la recessione è alle porte. Ma quello che appare sempre più evidente è che i mercati finanziari non sembrano avere una consapevolezza del rischio di sistema, se mai lo hanno avuto. La manipolazione della percezione del rischio avviene tramite la compressione del VIX come indicatore del rischio di sistema. I policymakers intervengono sul VIX per comprimere il rischio percepito dai mercati. Il problema è che puoi manipolare il VIX ma non puoi modificare il rischio di sistema né i fondamentali. Quindi occorre fare una netta distinzione tra percezione del rischio e consapevolezza del rischio. La consapevolezza dipende dalla conoscenza mentre la percezione dipende da quello che ti fanno credere.

Le mosse della Fed

Davanti a questi rischi evidenti, la Fed si è accorta di avere spinto troppo la politica monetaria in territorio restrittivo, e ha procurato seri problemi allo Shadow Banking System che fornisce oggi il 60% del credito all’economia. Il cedimento delle cartolarizzazioni è un indicatore evidente, la stessa cosa è accaduta nel 2007. Anche il settore delle banche regionali, che sono molto importanti per il credito alla piccola e media impresa, sono quasi tutte in stato semi fallimentare. Il tentativo di invertire la rotta con dichiarazioni dovish ha innescato un risk on sui mercati ma rischia di alimentare ulteriormente la bolla speculativa, aumentando i problemi a termine anziché ridurli. In questo modo si cerca di evitare la crisi spingendo proprio sulle variabili finanziarie che hanno messo il sistema in una posizione di vulnerabilità finanziaria. Così come gli interventi fiscali non hanno modificato i fondamentali del credito speculativo che circola nel sistema (che pesa per il 52% del Pil vs il 31% del 2007), così un ulteriore rialzo delle borse non migliora i fondamentali dell’economia e delle variabili finanziarie, anzi, procurerà ulteriori problemi futuri. Davanti ad un rischio di crisi imminente le autorità monetarie hanno deciso di spingere ulteriormente al rialzo le variabili finanziarie, nella speranza che il risk on possa attenuare i rischi finanziari attualmente in essere. E’ il tentativo disperato di continuare a spingere proprio sulla strategia che ti ha portato nella situazione critica e conferma la “trappola” speculativa nella quale hai infilato il sistema in anni di QE. Davanti al rischio di avere una crisi adesso si è scelto di averla più avanti, ovviamente. Il problema è che la dimensione dell’evento dipende sempre da quanto e per quanto tempo hai deciso di gonfiarlo. L’indice SPX a 5100/5200 o 5300 non modifica di un millimetro la qualità del credito speculativo in circolazione e non incide sulla dinamica dei fallimenti attualmente in corso, non riduce le insolvenze sul credito al consumo e peggiora ulteriormente i fondamentali degli asset finanziari. In questo modo gli investitori sono sempre più propensi a ridurre le loro posizioni d’investimento e lasciano sempre più spazio alla componente speculativa, la quale alimentando la bolla espone sempre di più il sistema a una crisi finanziaria. Tutto questo conferma l’approccio storico dei policymakers americani dal 1900 a oggi, dove le politiche monetarie diventano “schiave” delle bolle speculative create. Il problema della “bolla speculativa” è che tutti coloro che partecipano al gioco sanno che tipo di gioco stanno facendo e sanno che non può durare. L’instabilità prospettica del sistema economico e finanziario è dunque strettamente correlata alla psicologia dei giocatori che sanno di partecipare a un gioco a tempo determinato.

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Quali strategie di investimento?

Alla luce di tali riflessioni e, in considerazione degli eventi storici che hanno caratterizzato tali fenomeni, risulta particolarmente difficile perseguire una strategia d’investimento basata sui fondamentali dell’economia e dei mercati azionari, sia short che long. I mercati azionari rispecchiano attualmente solo la propensione al rischio. Acquistare o vendere equity è come acquistare e vendere propensione al rischio, dato che non acquisti certamente azioni per i parametri fondamentali che esprimono, salvo rarissimi casi. Ritengo che bond e FX siano le asset class che nel tempo sono comunque destinate a rimanere molto correlate alle dinamiche macro e per questo motivo l’allocazione del fondo Global Strategy darà ampio spazio a tali strategie nei prossimi mesi. In particolare ritengo che i bond esprimeranno una volatilità decisamente elevata nei prossimi mesi e di conseguenza anche il mercato dei cambi. Questa volatilità si trasferirà progressivamente anche ai mercati azionari. L’attuale correzione sui bond governativi a 10y/30y è stata determinata dalla Fed. Come avevo accennato nell’ultima newsletter: “se vuoi ridurre i tassi ora non mi proteggi dall’inflazione perché vuoi fare politiche reflazionistiche”. Politiche fiscali espansive e politiche monetarie reflazionistiche non sono positive per i tassi a lunga scadenza, per questo motivo avevamo chiuso le nostre posizioni long su BUND e US Treasury a 10y. La correzione attuale dei bond non può durare comunque molto senza procurare ulteriori effetti negativi sul ciclo e sulle variabili finanziarie, aumentando comunque il rischio di recessione anziché diminuirlo. Avevo infatti evidenziato che l’intenzione di ridurre i tassi a breve avrebbe prodotto un rialzo su quelli a lunga scadenza. La Fed cerca di reflazionare per evitare una crisi finanziaria nello Shadow Banking ma procura un aumento dei tassi a lunga scadenza in ogni caso. Se invece vuoi difendere i bond devi mantenere i tassi dove sono con l’elevato rischio di procurare però una recessione. La situazione è dunque molto più complicata di quello che gli indici di borsa tendono a far credere. In un anno elettorale è poi particolarmente difficile perseguire una sana e corretta politica monetaria e fiscale. Per questo motivo il mercato dei bond è particolarmente attraente per le opportunità (Long/Short) che può offrire per le strategie macro e per la volatilità prospettica, che avrà comunque ripercussioni significative su tutte le altre asset class e sull’economia. Allo stato attuale è la Bce che sta perseguendo una vera politica monetaria antinflazionistica, quindi il Bund è da acquistare sulle correzioni in corso. I mercati azionari UE si muovono in correlazione con quelli Usa, ma le prospettive macro in Europa sono poco favorevoli e l’economia è già in stagnazione e così vi rimarrà per un bel po’ di tempo. Le posizioni short equity su Eurostoxx sono vulnerabili a rialzi poco significativi. In sintesi, la potenzialità di upside del mercato azionario UE è più limitata rispetto al potenziale downside procurato da una recessione o da politiche antinflazionistiche. Lo scenario per l’economia UE implica recessione/stagnazione con tassi in discesa a partire dall’estate, per questo motivo l’Euro si prospetta rimanere debole vs USD e JPY. Attualmente siamo long JPY vs Euro e NOK vs Euro. La Banca Centrale di Norvegia vuole il cambio forte per contrastare l’inflazione importata, mentre i tassi rimangono per ora al 4,5%. I mercati azionari Emergenti non sono ancora pronti per uscire dalla lunga fase di crisi. Le prospettive macro su commercio globale e attività manifatturiera penalizzano la crescita ed i profitti dei listini emergenti. Anche se le valutazioni rimangono estremamente favorevoli per investimenti sul lungo periodo, allo stato attuale non ci sono ancora le condizioni per l’inizio della fase rialzista. La Cina rimane un ulteriore elemento negativo, dato il forte interscambio commerciale con l’Asia e alcuni Emergenti Latam (Chile e Brasile). L’India rimane al momento l’unico mercato interessante nell’area Emergente per la sua decorrelazione dall’economia cinese.

Il dilemma della reflazione

Se la Fed cadrà nella “trappola” di reflazionare l’economia, le aspettative d’inflazione in Usa saliranno e questo produrrà problemi ai Treasuries e alla borsa. A questo punto appare difficile scommettere su ampi ribassi dei tassi in Usa, salvo l’arrivo di una recessione che il settore finanziario americano non sarebbe in grado di reggere. Questo è appunto un altro problema: lo stock di debito speculativo nel sistema non reggerebbe una recessione e neppure una stagnazione. La Fed si trova dunque nel dilemma di reflazionare per evitare una crisi nello Shadow banking, che è già iniziata, ma non può farlo più di tanto senza modificare le aspettative di inflazione e provocare un rialzo dei tassi sui Treasuries. Per questo motivo credo che la bolla speculativa in corso sull’Equity Usa dovrà fronteggiare tre eventi probabili: o una recessione nel corso del 2024, o una politica monetaria non espansiva come si crede o un rialzo dei tassi a lunga procurato da una Fed che si affianca al Tesoro nelle politiche reflazionistiche. Ovviamente, dei tre scenari probabili, la borsa ha scelto l’ultimo. Ma se in questo momento l’Equity sa sta prezzando tassi giù, tale scenario reflazionistico è destinato a trasformarsi in negativo per: 1) aspettative di rischio di ritorno dell’inflazione e 2) per un conseguente aumento dei tassi sui Treasuries. Sembra abbastanza chiaro che la Federal Reserve si trova nella posizione di compiere “per certo” un altro policy mistake: la scelta di fare scendere i tassi o tenerli dove sono procura conseguenze comunque negative. La Banca Centrale non ha ancora scelto cosa fare, ma sa che qualsiasi cosa deciderà, non avrà alcun impatto sul risultato finale che è comunque già scritto nei dati di bilancio delle banche e nel credito cartolarizzato: avremo una recessione innescata dalla restrizione del credito all’economia da parte dello Shadow Banking System e dall’accentuarsi della crisi bancaria in America iniziata lo scorso anno. Anche nel 2007 il governo americano continuava a pubblicare dati macro che evidenziavano sempre espansione economica, ma nel frattempo la crisi finanziaria nello Shadow Banking System era già iniziata. Mentre il Pil cresceva i fallimenti bancari erano già in corso e le insolvenze sul credito salivano. Questo dovrebbe farci capire che alcuni dati macro sono platealmente politicizzati e non sono un indicatore della solidità del sistema.