La cattura e lo stoccaggio del carbonio non sembrano la soluzione per la crisi climatica

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Nel rapporto pubblicato da Greenpeace Italia e ReCommon CCS, l’ennesima falsa promessa di ENI  si critica ampiamente la cattura e lo stoccaggio della CO2, concludendo che non sia la soluzione per la crisi climatica e accusando espressamente ENI di esercitare una forma di greenwahing: “La Cattura e lo Stoccaggio della CO₂ (CCS) è da un lato solo una falsa soluzione per mitigare il riscaldamento globale e dall’altro la foglia di fico delle multinazionali fossili come ENI per continuare a estrarre gas e petrolio” dichiarano.

Il Global Stocktake

Il Global Stocktake, meccanismo di valutazione dei progressi ottenuti a livello globale nella risposta alla crisi climatica e nell’implementazione delle misure dell’Accordo di Parigi, ha messo in guardia i Paesi riuniti al tavolo della COP28 di Dubai sul fatto che per limitare l’aumento medio di temperatura del pianeta entro 1.5 gradi centigradi è necessario un taglio del 43% delle emissioni globali entro il 2030 e del 60% entro il 2035, rispetto ai livelli del 2019. Le risultanze di questa valutazione hanno rappresentato la base per la discussione della COP28, che si è giocata
– come tutte le precedenti, del resto – sul filo del rasoio di alcuni termini, verbi e sfumature lessicali che determinano il grado di impegno futuro della comunità internazionale rispetto alla crisi climatica.

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La cattura e lo stoccaggio del carbonio

La cattura e lo stoccaggio del carbonio (Carbon Capture and Storage – CCS) e la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio del carbonio (Carbon Capture
Utilisation and Storage – CCUS) sono processi progettati per raccogliere o “catturare” l’anidride carbonica generata da attività ad alte emissioni – come ad esempio centrali termoelettriche a carbone o a gas, cementifici, acciaierie, distretti industriali, impianti petrolchimici – prima che il
gas serra venga rilasciato nell’atmosfera. La CO₂ viene poi compressa allo stato liquido attraverso varie tecniche di raffreddamento e trasportata tramite condutture, navi o autocisterne in siti in cui viene utilizzata per processi industriali o stoccata in depositi sotterranei – sia su terra (onshore) sia in mare (offshore) – come acquiferi salini, giacimenti di petrolio o gas esauriti, giacimenti di carbone non estraibili.

Rispetto alle quantità enormi di CO₂ oggi prodotte, la conversione della CO₂ catturata in materiali utili per il settore delle costruzioni (es. carbonati, cemento) o per la produzione di bevande gasate è un utilizzo per applicazioni di nicchia.

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La storia della CCS è costellata di fallimenti. Pur risuonando alle orecchie di molti come una novità, la tecnologia alla base della CCS è in uso
da oltre cinquanta anni: la CO₂ è stata iniettata nei giacimenti petroliferi per il recupero migliorato del petrolio (EOR) fin dagli anni Sessanta.
Chevron, gigante petrolifero statunitense, ha realizzato il primo progetto di CO₂-EOR su larga scala (Scurry Area Canyon Reef Operating
Committee) in Texas, nel 1972.
Dal 2009 i governi di tutto il mondo hanno stanziato 8,5 miliardi di dollari per progetti CCS, ma solo il 30% di questi finanziamenti è stato
speso perché i progetti non sono riusciti a decollare e quelli che lo fanno sono spesso in ritardo e con risultati insufficienti, tanto che numerosi
progetti in tutto il mondo sono stati abbandonati per insostenibilità economica o problemi tecnici.

Tra questi, è utile ricordare per l’Italia il progetto di stoccaggio di CO₂ a Cortemaggiore iniziato nel 2011 e promosso da ENI ed ENEL, su cui
è sceso il silenzio e appare difficile trovare informazioni sull’esito – presumibilmente fallimentare – delle operazioni.
Anche la Corte dei conti europea si è già espressa in merito. Nel 2018 l’istituzione ha fortemente criticato l’UE per avere speso 424 milioni di
euro in progetti CCS fallimentari che non sono riusciti nell’obiettivo di diffondere la tecnologia nel Vecchio Continente.
Oggi la quota di CO₂ sequestrata in depositi geologici è pari a circa 45 milioni di tonnellate l’anno, corrispondenti allo 0,12% delle emissioni annuali globali.

Il Direttore Esecutivo dell’IEA International Energy Agency, Fatih Birol, ha dichiarato che “l’industria del petrolio e del gas sta affrontando un momento di verità alla COP28 di Dubai. Con il mondo che subisce gli impatti di una crisi climatica sempre più grave, continuare a fare business as usual non è responsabile né dal punto di vista sociale né da quello ambientale” e che “l’industria deve impegnarsi ad aiutare realmente il mondo a soddisfare il proprio fabbisogno energetico e a raggiungere gli obiettivi climatici, il che significa abbandonare l’illusione che la cattura di quantità inverosimili di carbonio sia la soluzione”.