Un sistema di previdenza complementare in evoluzione
La Covip ha presentato la propria Relazione annuale in cui ha tratteggiato il quadro di riferimento della previdenza complementare nel nostro Paese.
Alla fine del 2021, i fondi pensione in Italia sono 349 di cui 33 fondi negoziali, 40 fondi aperti, 72 piani individuali pensionistici (PIP) e 204 fondi preesistenti. Il numero delle forme pensionistiche operanti nel sistema è in costante riduzione. Oltre venti anni fa, nel 1999, le forme erano 739, oltre il doppio.
Il totale degli iscritti alla previdenza complementare è di 8,8 milioni, in crescita del 3,9% rispetto all’anno precedente, per un tasso di copertura del 34,7% sul totale delle forze di lavoro.
Le posizioni in essere sono 9,7 milioni (inclusive di posizioni doppie o multiple, che fanno capo allo stesso iscritto). I fondi negoziali contano 3,4 milioni di iscritti, quasi 1,7 milioni sono gli iscritti ai fondi aperti e 3,4 milioni ai PIP “nuovi”; circa 620.000 sono gli iscritti ai fondi preesistenti.
Quanto ai divari di genere e generazionali, sottolinea la Autorità di vigilanza, si confermano tendenze già documentate. Gli uomini sono il 61,8% degli iscritti alla previdenza complementare (il 73% nei fondi negoziali). La distribuzione per età vede la prevalenza delle classi intermedie e più prossime all’età di pensionamento: il 50,3% degli iscritti ha età compresa tra 35 e 54 anni, il 31,9% ha almeno 55 anni. Quanto all’area geografica, la maggior parte degli iscritti risiede nelle regioni del Nord (57%).
Per quel che riguarda i dati patrimoniali e contributivi , le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari si attestano a 213,3 miliardi di euro, in aumento del 7,8% rispetto all’anno precedente; un ammontare pari al 12% del PIL e al 4,1% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. I contributi incassati nell’anno sono circa 17,6 miliardi di euro, tornando a crescere su livelli precedenti la pandemia. Ne sono affluiti 5,8 miliardi ai fondi negoziali (+5,5%), 2,6 miliardi ai fondi aperti (+12,7%), 4,9 miliardi ai PIP (+6,8%) e 4 miliardi ai fondi preesistenti (+3,1%). I contributi per singolo iscritto ammontano mediamente a 2.790 euro nell’arco dell’anno.
L’allocazione degli investimenti effettuati dai fondi pensione (escluse le riserve matematiche presso imprese di assicurazione e i fondi interni) registra la prevalenza della quota in obbligazioni governative e altri titoli di debito, per il 53,7% del patrimonio; il 16,8% sono titoli di debito pubblico italiano. In aumento al 22,6% i titoli di capitale (rispetto al 19,6% del 2020) e anche le quote di OICR, passate dal 15,5 al 16%. I depositi si attestano al 6 ,7%. Gli investimenti immobiliari, in forma diretta e indiretta, presenti quasi esclusivamente nei fondi preesistenti, rappresentano l’1,9% del patrimonio, sostanzialmente stabili rispetto al 2020.
Nell’insieme, il valore degli investimenti dei fondi pensione nell’economia italiana (titoli emessi da soggetti residenti in Italia e immobili) è di 40 miliardi di euro, il 22,7% del patrimonio. I titoli di Stato ne rappresentano la quota maggiore, 29,6 miliardi di euro. Gli impieghi in titoli di imprese domestiche rimangono marginali, seppure in leggera crescita. Il totale di 4,7 miliardi è meno del 3 per cento del patrimonio: in obbligazioni sono investiti 3 miliardi, in azioni 1,7 miliardi. A questi si aggiungono gli investimenti domestici detenuti attraverso quote di OICVM, pari a 2,3 miliardi. Gli investimenti immobiliari in Italia risultano pari a circa 3 miliardi.
Andando ai rendimenti al netto dei costi di gestione e della fiscalità, i fondi negoziali e i fondi aperti hanno avuto in media una performance pari, rispettivamente, al 4,9 e al 6,4 per cento; per i PIP “nuovi” di ramo III, il rendimento è stato dell’11 per cento. Per le gestioni separate di ramo I, che contabilizzano le attività a costo storico e non a valori di mercato e i cui rendimenti dipendono in larga parte dalle cedole incassate sui titoli detenuti, il risultato è stato pari all’1,3 per cento. Nello stesso periodo il TFR si è rivalutato, al netto delle tasse, del 3,6 per cento. Considerando gli ultimi 10 anni, il rendimento medio annuo dei fondi pensione negoziali è stato del 4,1 per cento, quello dei fondi pensione aperti il 4,6 per cento e quello dei PIP “nuovi” di ramo III il 5 per cento, mentre è stato del 2,2 per quelli di ramo I. Nello stesso periodo, la rivalutazione media annua del TFR è stata dell’1,9 per cento.