Il ritorno del “reddito” nel reddito fisso

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Si stava arrivando al punto di chiedersi se il “fixed income” avesse bisogno di un nuovo nome. Nel 2021 infatti si è parlato quasi esclusivamente di mercati privati e i mercati del reddito fisso sembravano non offrire più “reddito”.

La buona notizia è che il fixed income dei mercati pubblici è tornato a generare valore. Siamo entrati nel 2022 con l’high yield statunitense al 4,5% circa, ma oggi tale livello è quasi raddoppiato: è finalmente tornato ad essere un vero high yield.

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Il ritorno del “reddito” nel reddito fisso

Per gli investitori in grado di adottare un orizzonte di medio termine – tra cui dovrebbero esserci molti investitori istituzionali – riteniamo vi siano interessanti opportunità nel fixed income in contrapposizione al mercato azionario.

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Gli elevati rendimenti statunitensi, superiori al 7,5%, offrono un certo valore. I tassi di default aumenteranno un po’, ma al momento sono incredibilmente bassi. Anche se il tasso di insolvenza dovesse raggiungere il 3%, aree come l’high yield e i mercati emergenti sono in grado di offrire valore se si adotta un’asset allocation a medio termine.

Nel breve termine, è più probabile che gli investitori stiano valutando quando aggiungere più rischio ai loro portafogli complessivi. L’S&P e il NASDAQ sono scesi considerevolmente da un anno all’altro, ma entrambi sono ancora sostanzialmente superiori rispetto a fine 2019. Se la recente correzione dei titoli azionari dovesse protrarsi ancora per un po’, gli investitori potrebbero prevedere che il divario di performance rimanente si chiuderà in prossimità del punto di massimo toccato dal mercato prima della pandemia.

In un certo senso, le azioni possono essere viste come un asset di rischio che prende il sopravvento in questo contesto. Le prospettive per questi titoli potrebbero essere un po’ difficili nel breve periodo e non è ancora il caso di fare il pieno di asset di rischio. Il mercato sta diventando leggermente ipervenduto. Probabilmente gli investitori potranno fare investimenti migliori aggiungendo un po’ di rischio quando sarà il momento giusto. Dal nostro punto di vista, riteniamo che il momento giusto sarà influenzato da quando la traiettoria dell’inflazione dirigerà nuovamente verso l’obiettivo della Fed.

Cautela sui mercati privati

In contrasto con l’ottimismo sul fixed income pubblico, siamo invece più preoccupati per i mercati privati in generale.

Nel private equity, ci sono molte operazioni che inseguono un IRR [tasso interno di rendimento] molto elevato e un’elevata esposizione alle società tecnologiche. Circa il 10% del NASDAQ è sceso del 90% quest’anno. Le società più piccole, che vengono scambiate in base a multipli dei flussi di cassa e dei ricavi piuttosto che in base ai profitti, stanno subendo i peggiori colpi in termini di performance dei prezzi.

Di conseguenza, è probabile che gli investitori si trovino di fronte a società che stanno bruciando liquidità e che hanno bisogno di rifinanziarsi. Quando ciò accadrà, i ribassi materiali che ne deriveranno comprometteranno alcuni veicoli di private equity.

Gli investitori dovrebbero riflettere seriamente su queste considerazioni, invece di inseguire impulsivamente la massa e tutto ciò che luccica.

Le opportunità nel fixed-income e il ruolo della Fed

Siamo stupiti dalla cattiva fama che la Fed riscuote negli Stati Uniti, essendo al contrario impressionati dal lavoro svolto dalla Banca Centrale Americana, che è attualmente in grado di mantenere l’economia statunitense sui binari, seppur su un percorso un po’ accidentato.

La linea predominante della Fed è continuare ad aumentare i tassi fino a quando l’indice dei prezzi PCE [Personal Consumption Expenditures Price Index] non scenderà sotto il 3%. La previsione è che tornerà a quel livello entro questo periodo dell’anno prossimo. Se la Fed continuerà ad aumentare i tassi e li anticiperà, alla fine i tassi arriveranno attorno al 3,25% e questo è già ampiamente scontato dai mercati. Se questo scenario si concretizzerà, l’economia e i mercati statunitensi probabilmente sperimenteranno un atterraggio piuttosto morbido. Al contempo, dovranno accadere altre cose, ad esempio un rallentamento della crescita, ma nel complesso riteniamo sia un risultato raggiungibile.

Tuttavia, se l’inflazione rimarrà più elevata e il mercato del lavoro surriscaldato, il PCE core potrebbe rimanere bloccato intorno al 4%. Anche in questo scenario, tuttavia abbiamo fiducia nella Fed, dato che è ben consapevole che più l’inflazione si allontana dall’obiettivo, più si radica nelle aspettative di inflazione. Riteniamo utilizzerà tutti gli strumenti a sua disposizione per far sì che le cose si muovano nella giusta direzione, dato che nessuno vuole una recessione, ma se ce ne fosse bisogno, allora è meglio averne una piccola prima che una grande dopo.

Infatti, siamo piuttosto ottimisti sul fatto che gli Stati Uniti eviteranno una vera e propria recessione, grazie soprattutto agli sforzi della Fed. La probabilità di una recessione negli Stati Uniti nei prossimi 18 mesi è solo del 30%, nell’Eurozona, la probabilità è di oltre il 50%, mentre il Regno Unito è già in recessione. In modo simile, la Cina sembra sempre più un’economia in recessione. Il mercato immobiliare è ancora enormemente sopravvalutato, con alcune dinamiche che ricordano quelle viste negli Stati Uniti nel 2008.