Tabù infranti

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«Come posizionarsi in uno scenario così incerto?»

La scorsa settimana sui mercati abbiamo assistito alla rottura di molte «soglie psicologiche», eventi che raramente si verificano in un arco temporale così breve: il dollaro ha quasi raggiunto la parità con l’euro, il franco l’ha superata, il petrolio è sceso sotto i 100 dollari il barile e la curva dei rendimenti dei Treasury statunitensi si è invertita (cioè i rendimenti a breve superano quelli a lungo termine).

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Questi movimenti sono in parte legati tra loro. Partiamo dal petrolio: nonostante le sanzioni nei confronti della Russia è arrivato a perdere il 10% in un giorno, scendendo sotto il livello simbolico di 100 dollari il barile. La ragione di tale flessione è da ricercarsi nella crescente apprensione del mercato circa l’andamento economico e il rischio di recessione, e quindi una riduzione della domanda di energia.

Anche il mercato obbligazionario ha reagito a preoccupazioni simili: il rendimento del Treasury statunitense a 10 anni è sceso al di sotto di quello a 2 anni. Questo fenomeno viene definito «inversione della curva dei rendimenti» ed è considerato un segnale di probabile recessione.

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I timori degli investitori sono stati alimentati, oltre che dalla guerra e dall’impatto dei rialzi dei tassi d’interesse sull’economia, anche dalle notizie provenienti dalla Cina riguardo ai nuovi focolai di COVID a Shanghai, che potrebbero incidere sull’economia cinese e sulle catene di approvvigionamento globale se dovessero portare a nuovi lockdown.

Anche se una recessione tecnica non può essere esclusa, alcuni importanti segmenti dell’economia globale continuano ad andare bene: tra questi segnaliamo i servizi (ancora in fase di ripresa dopo le restrizioni), l’occupazione e gli investimenti pubblici. I livelli d’indebitamento di aziende, banche e famiglie appaiono a loro volta ragionevoli.

Inoltre, un’altra ondata di lockdown in Cina non sembra probabile. Finora le autorità di Shanghai hanno infatti optato per controlli mirati e sospensione di servizi non essenziali. Quindi una recessione globale non è lo scenario più probabile; qualche rischio in più c’è per l’Europa, che è più vicina ed esposta alle conseguenze economiche della guerra.

Per quanto riguarda il petrolio, la recente correzione non dovrebbe durare a lungo. I 23 Paesi appartenenti all’associazione OPEC+ non stanno producendo a pieno regime e probabilmente non riusciranno a fornire quanto promesso, prolungando quindi l’attuale squilibrio tra domanda e offerta. Insomma, il prezzo del petrolio potrebbe rimanere elevato e raggiungere anche 125 dollari il barile tra un anno.

La scorsa settimana il dollaro ha sorpreso nuovamente, poiché il cambio tra euro e dollaro (EUR/USD) è sceso al di sotto di 1.02, il livello più basso degli ultimi 10 anni.

In parte il cambio è stato guidato anche dai timori sull’euro, in considerazione della dipendenza energetica dalla Russia e delle diatribe interne alla Banca centrale europea (BCE) sullo strumento da varare per contenere gli spread dei debiti pubblici del Sud Europa contro il Bund. Il mercato teme un’altra delusione da parte della BCE. In effetti anche il franco svizzero ha superato l’euro in valore per la prima volta dal 2015, grazie al suo status di bene rifugio e al rialzo dei tassi di qualche settimana fa.

A nostro avviso il rally del dollaro è comunque eccessivo, soprattutto in considerazione del rallentamento economico che si evidenzia negli Stati Uniti. Inoltre, a lungo termine il ruolo del biglietto verde potrebbe in parte venire insidiato da altre valute (come lo stesso euro o il renminbi) e ciò potrebbe ridurne la domanda. Il dollaro statunitense resta dominante nelle riserve valutarie internazionali delle banche centrali, ma è comunque passato dal 71% del 2000 al 60% alla fine dello scorso anno.

Per gli investitori, nelle fasi di forte incertezza come quella attuale, spesso la strategia migliore è non tradire la propria asset allocation strategica e parallelamente adottare alcuni accorgimenti in base al contesto.

In presenza di un’elevata volatilità, avere a disposizione una buona liquidità evita di dover vendere nel momento sbagliato asset le cui valutazioni potrebbero aver sofferto. Da questo punto di vista, considerando i recenti aumenti dei rendimenti, l’obbligazionario con scadenze a 2-3 anni può rappresentare un buon parcheggio per la liquidità destinata a soddisfare le possibili uscite di cassa.

Nel comparto azionario, la combinazione di tassi più elevati ed elevata inflazione favorisce i titoli value (cioè con un rapporto prezzo/utili non elevato) e quelli che distribuiscono buoni dividendi. Nel frattempo, il ribasso dei listini potrebbe offrire l’opportunità di costruire un’esposizione di lungo termine all’azionario, sia quotato che privato.

È importante considerare che c’è un beneficio nel diversificare anche da un punto di vista temporale, vale a dire investire in periodi distanti tra loro, diversificando i vintage – per riprendere un termine utilizzato nel mondo del private equity, ma che può essere applicato anche ai mercati quotati.