Situazioni di crisi. Il sistema Paese deve aiutare le imprese a ripartire. Intervista all’economista Alessandro Arrighi
Che cosa non sta funzionando nelle regole da applicare nelle situazioni di crisi?
“Se le regole per le gare di automobilismo fossero scritte da chi scrive le leggi per la gestione della crisi di impresa, al pit stop, il pilota sarebbe chiamato a compilare montagne di moduli, per dimostrare di avere fatto un buon uso degli pneumatici e di non averli sprecati. E chi dovesse essere tacciato di non averne fatto buon uso sarebbe espulso dal mondiale, quantomeno “provvisoriamente”, magari per essere riammesso dieci anni dopo”.
“Quando un’impresa va in crisi, come quando un’auto da competizione si ferma, occorrerebbe farla ripartire, il prima possibile. L’interesse dei creditori insoddisfatti è quello di recuperare velocemente, almeno in parte, il proprio credito ma, soprattutto, in genere, recuperare il cliente, quando ha risolto la crisi. Vedere l’imprenditore insolvente inquisito, o in prigione, non è una soddisfazione economica ma solo un ulteriore costo, per la collettività.
E se anche si volesse accettare una visione della pena come deterrente per l’imprenditore, che voglia assumere condotte che possano cagionare il depauperamento dell’impresa nella consapevolezza che tale condotta potrebbe mettere effettivamente a rischio la garanzia patrimoniale a favore dei creditori, sarebbe come assumere, in formula 1, la convinzione che, con opportuna diligenza, i piloti avrebbero potuto risparmiare gli pneumatici e fare un giro in più.
Se anche fosse vero, non giustificherebbe, in quel caso, un pit stop di cinque minuti per volta, nel caso dell’impresa, un incredibile numero di imprenditori fermi al palo, per anni, che spesso diventano tutta la vita, per difendersi da procedimenti penali che in genere si risolveranno nel nulla”.
Qual’è l’interesse del sistema in questi casi?
“L’interesse del sistema è rendere facile ripartire, come accade in tutti i Paesi industrializzati con cui vorremmo competere, anche in quanto a capacità di attrarre gli investitori. Un imprenditore che, magari, per anni e anni, si è dimostrato uno straordinario capitano d’azienda e che, poi, abbia assunto rischi anche magari colpevolmente eccessivi, a causa dei quali ha perso tutto o molto, dovrebbe essere messo nelle condizioni di ricreare, velocemente, magari proprio in Italia, quella ricchezza che prima produceva. Anche perché quei rischi, che magari, ex post, si sono rivelati eccessivi, con un set di informazioni diverse per natura, da quelle che erano disponibili ex ante, in molti casi sono coerenti rispetto a quelli che l’imprenditore ha assunto per i molti anni in cui l’impresa ha distribuito valore sociale”.
L’efficienza del sistema economico
In termini pratici, che cosa si dovrebbe fare?
“Il sistema economico, per produrre ricchezza, deve essere efficiente. Tutto il contrario rispetto alle lunghe indagini a cui il Pubblico Ministero è spesso spinto, più dalla irragionevole norma sull’obbligatorietà dell’azione penale, che non da una personale convinzione. Anche perché, nella maggior parte dei casi, la ricerca di un supposto reato si basa su relazioni del liquidatore giudiziale, (ex curatore fallimentare) presentate nei brevissimi termini prescritti dalla legge, talvolta forse più nell’erronea convinzione di compiacere così il proprio dante causa, ossia il Giudice, che non per il fine della salvaguardia della legalità del sistema”.
D’accordo, ma come se ne esce?
“Tutto questo deve finire: è necessario, certo, che intervengano i consigli disciplinari degli ordini professionali per disincentivare e punire palesi abusi ed eccessiva superficialità da parte dei professionisti incaricati nelle procedure che innestano procedimenti senza né capo né coda, a carico di colleghi e imprenditori, ma, soprattutto, è necessaria una radicale riforma, prima, della visione di impresa da parte del legislatore, poi culturale, affinché si capisca che l’imprenditore deve essere messo in grado di ripartire e, quindi, ovvia conseguenza, è necessario riscrivere le norme sulla crisi, che, in tutto il mondo, sono studiate per risolverla e per consentire a chi è fallito di ripartire capitalizzando l’esperienza, in Italia, sono studiate per punire l’imprenditore fallito”.