A rischio le pensioni di reversibilità

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Un Ddl approvato dal Consiglio dei ministri prevede di considerarle come prestazioni assistenziali. E quindi di valutarne il diritto in base alla situazione economica del percettore

Considerare le pensioni di reversibilità come prestazioni di tipo assistenziale (anziché previdenziale), e quindi stabilire chi ne ha diritto in base alla situazione economica, misurata dall’Isee, del percettore, vale a dire della vedova o del vedovo di chi ha versato i contributi durante l’attività lavorativa.

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L’allarme è stato lanciato dal sindacato dei pensionati Spi-Cgil che fa riferimento al disegno di legge per il “contrasto alla povertà” approvato in gennaio dal Consiglio dei ministri.

Considerare le pensioni di reversibilità come una prestazione assistenziale, e ancorarle all’Isee, significherebbe limitarne fortemente il numero, afferma il sindcacato, perché l’erogazione sarebbe ristretta a coloro che hanno un reddito molto basso. Attualmente non esiste nessun limite in base al reddito, e la pensione di reversibilità varia in base al numero dei familiari che ne hanno diritto: è pari al 60% della pensione del familiare deceduto se c’è il solo coniuge, sale all’80% se c’è anche un figlio e al 100% se ci sono due o più figli. Inoltre è prevista una riduzione del 25% per gli assegni superiori a tre volte la pensione minima, cioè attualmente a 1.500 euro lordi mensili, del 40% sopra i 4mila euro circa e del 50% sopra i 2.500 euro.

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Il Ddl prevederebbe invece di sottoporre “alla prova dei mezzi” cioè alla situzione economica misurata dall’Isee, il diritto alla pensione.

Secondo fonti del Governo non si terrà conto della situazione patrimoniale dell’Isee, ma soltanto del reddito certificato. E inoltre le nuove norme si applicano soltanto alle pensioni future e non a quelle in essere.

Ma le precisazioni non sono state sufficienti a spegnere le polemiche, con critiche provenienti anche dalla stessa maggioranza di Governo.