Rapporto Symbola-Unioncamere: la cultura motore dell’economia italiana

Walter Quattrocchi -

Il sistema produttivo culturale e creativo italiano produce 89,9 mld, ma ne muove 250

Il 6% della ricchezza prodotta in Italia, nel 2016, pari a 89,9 miliardi di euro, è generato dalla cultura e dalla creatività, dato in crescita dell’1,8% rispetto all’anno precedente.

E’ quanto emerge dal rapporto 2017 “ Io sono cultura – l’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi”, elaborato da Fondazione Symbola e Unioncamere in collaborazione con Regione Marche, l’unico studio in Italia che, annualmente, quantifica il peso della cultura e della creatività nell’economia nazionale.

Nello studio si afferma quanto il sistema produttivo culturale e creativo abbia un effetto moltiplicatore sul resto dell’economia pari a 1,8. In altre parole, per ogni euro prodotto dal sistema produttivo culturale e creativo, se ne attivano 1,8 in altri settori. Gli 89,9 miliardi, quindi, ne stimolano altri 160, per arrivare a quei 250 miliardi prodotti dall’intera filiera culturale, il 16,7% del valore aggiunto nazionale, col turismo come principale beneficiario di questo effetto volano.

Le industrie culturali producono, da sole, secondo lo studio, oltre 33 miliardi di euro di valore aggiunto, ovvero il 37,1% della ricchezza generata dal sistema produttivo culturale e creativo, dando lavoro a 492mila persone (32,9% del settore).

Contributo importante anche dalle industrie creative, capaci di produrre 12,9 miliardi di valore aggiunto (il 14,4% del totale del comparto), grazie all’impiego di 253mila addetti (16,9%).

Performing arts e arti visive generano invece 7,2 miliardi di euro di ricchezza e 129mila posti di lavoro; a conservazione e valorizzazione del patrimonio storico-artistico si devono quasi 3 miliardi di euro di valore aggiunto e oltre 53mila addetti.

I settori in ascesa
Guardando alla dinamica dei settori, il dato evidente è che, a differenza del quinquennio precedente, tutti i segmenti registrano bilanci positivi, sia in termini di valore aggiunto che di occupazione. I risultati più rilevanti rimangono collegati ai segmenti che già negli ultimi cinque anni avevano mostrato segnali positivi, come il design (+2,5% per valore aggiunto e +1,9% per occupazione), i videogame (+2,5% per il valore aggiunto e +1,7% per occupazione) e la produzione creative-driven (+1,7% per valore aggiunto e +1,5% per occupazione).

Le aree geografiche trainanti
La provincia di Roma, con il 10%, risulta al primo posto in Italia per incidenza del valore aggiunto del sistema produttivo culturale e creativo sul totale dell’economia. Seconda Milano (con il 9,9%), terza Torino, attestata sulla soglia dell’8,6%. Seguono Siena (8,2%), Arezzo (7,6%) e Firenze (7,1%). E ancora: Aosta, attestata al 6,9%, Ancona (6,8%), Bologna e Modena, entrambe al 6,6%.

In termini di occupazione, il primato per incidenza dei posti di lavoro sul totale dell’economia è da attribuire a Milano, attestata al 10,1%. Al ridosso si collocano Roma (8,7%), Arezzo (8,6%%), Torino (8,2%), Firenze (7,6%), Modena Bologna e Trieste (tutte e tre al 7,5%), Monza-Brianza ( 7,3%) e Aosta (7,2%).

Quanto alle macroaree geografiche, è il Centro a predominare: qui, la cultura e la creatività producono il 7,4% del valore aggiunto. Seguono, da vicino, il Nord-Ovest (6,8%) e il Nord-Est, la cui incidenza si attesta al 5,5%. Il Mezzogiorno, ricco di giacimenti culturali e un patrimonio storico e artistico di primo ordine a livello mondiale, non riesce ancora a tradurre tutto ciò in ricchezza : solo il 4,1% del valore aggiunto prodotto dal territorio è da attribuire alla cultura.

Dinamiche simili si riscontrano per l’occupazione, con il Nord-Est che, in questo caso, mostra una performance leggermente migliore di quella del Nord-ovest.

A livello regionale, il peso delle grandi aree metropolitane a specializzazione culturale e creativa si fa sentire. Il Lazio si colloca primo (8,9%), seguito dalla Lombardia (7,2%). Dopo la Valle d’Aosta, troviamo il Piemonte (6,7%) e le Marche (6,0%).

Tutti questi segnali di fermento sono aiutati da riforme come quella dell’Art Bonus, il credito d’imposta introdotto nel 2014 a favore degli investimenti in cultura con il risultato di 5.216 mecenati e 123 milioni di erogazioni liberali.

Arte
Nella ricerca si legge che per quanto riguarda il settore dell’arte contemporanea si registrano segnali contraddittori come da un lato l’emergere del fenomeno dei musei privati a Roma e dall’altro il rallentamento dell’arte urbana e in particolare della Street Art, dopo l’exploit del 2015 e la coda lunga rappresentata da Triumphs and Laments, l’intervento realizzato da William Kentridge sulle rive del Tevere a Roma, nonché dalle accese polemiche che hanno accompagnato la mostra Street Art – Banksy & Co., allestita a Palazzo Pepoli a Bologna, in reazione alla quale lo street artist Blu ha cancellato diverse opere da lui stesso realizzate in città.

Musei privati
Si faceva cenno ai musei privati. Milano resta la città più dotata in questo senso: ultimo esempio, il Museo d’arte etrusca che a fine 2018 aprirà a Palazzo Bocconi-Rizzoli- Carraro, forte dell’intervento architettonico di Mario Cucinella, dotato di sale espositive, ma anche di attività scientifiche e didattiche transdisciplinari.

Il tutto promosso dalla Fondazione Luigi Rovati, la cui vicepresidente Giovanna Forlanelli Rovati è anche direttore generale di Rottapharm Biotech, collezionista d’arte contemporanea e a capo della casa editrice Johan & Levi.

Negli ultimissimi tempi Roma si sta tuttavia allineando con grande rapidità.

A una forma di mecenatismo che è consistita soprattutto nel sostegno ai restauri (Tod’s per il Colosseo, Bulgari per la Barcaccia in piazza di Spagna e la scalinata di Trinità dei Monti, Fendi per la Fontana di Trevi, Yuzo Yagi per la Piramide Cestia, solo per citare gli interventi più noti e importanti) si sta infatti affiancando la progettazione e presto l’apertura di veri e propri musei privati, pronti a cambiare il profilo e il panorama della città.

In primis va citata la Fondazione Alda Fendi che, nel Palazzo del Velabro, sta aprendo uno spazio ampio, progettato da Jean Nouvel, che si offrirà alle più varie forme di arte, ma anche di residenzialità, di commercio evoluto, di tecnologia, di esposizione.

Ci sono poi Claudio Cerasi e la sua famiglia, che hanno recuperato in via Merulana uno strepitoso palazzo di inizio Novecento. Dentro ci saranno spazi per una collezione di pittura e scultura antica, senza dimenticare spazi per eventi, mostre temporanee, ristorazione.

Infine, lo spazio che Ovidio Jacorossi sta approntando in quella via dei Chiavari dove iniziò, svariate generazioni fa, l’attività economica industriale che fu la realtà produttiva privata più importante della capitale. Qui Jacorossi, imprenditore e grande collezionista, offrirà una piattaforma che servirà anche e non solo a valorizzare la sua notevole raccolta.

Gallerie d’arte
Non mancano esempi altrettanto interessanti di imprese straniere che scelgono il nostro Paese per aprire nuove sedi. Qui si tratta soprattutto di gallerie d’arte consolidate, che in Italia inaugurano spazi spesso importanti. Così succede che a Venezia, in Laguna aprano anche figure internazionali come Victoria Miro (con la sua quarta sede, dopo le tre attive a Londra, e proprio negli storici spazi della Galleria Il Capricorno ) Alberta Pane, da quasi un decennio con una galleria a Parigi e Alma Zevi.

Assai meno impattante la presenza straniera a Milano, almeno in parte a causa della concorrenza locale piuttosto agguerrita. Si segnala soltanto la Lisson Gallery, nata a Londra nel 1967 su iniziativa di Nicholas Logsdail, e che verrà chiuso entro la fine del 2017.

Il movimento più recente e imponente sta avvenendo a Roma, in parziale controtendenza rispetto all’importante flusso di gallerie italiane che in anni recenti hanno spostato la propria sede (o aperta una ulteriore) all’estero, spesso nel quartiere Mayfair di Londra.

Se l’apripista è stato Gagosian nel 2007, nel 2015 è tornato nella Capitale anche Gavin Brown in compagnia di altri due galleristi, Franco Noero di Torino e Toby Webster di Glasgow.

A gennaio si registrano già l’apertura della seconda sede di Emanuel Layr, a supporto della sede madre nel centro storico di Vienna; la sede capitolina è a Trastevere, dove si trova lo stesso Gavin Brown, oltre a T293 e a Frutta Gallery (anche quest’ultima gestita da uno straniero, James Gardner ).

E poi c’è da segnalare Postmasters, a cavallo fra attivismo politico e new media art, con apertura prevista entro l’anno.

Così come, sempre nel 2017, ma questa volta a Napoli, aprirà la filiale romana della londinese Thomas Dane Gallery, l’unica finora a scegliere la città partenopea.