Mercati: dobbiamo tornare a preoccuparci? Una risposta in tre punti

Olivier De Berranger -
- Advertising -

In due settimane i mercati azionari americani hanno perso il 10% circa, seguiti da quelli europei che hanno lasciato sul campo un po’ meno dell’8%.

Un fenomeno tanto inconsueto nella storia delle borse quanto le nevicate a febbraio negli annali del meteo in Europa, il cui ricordo è stato tuttavia cancellato dalla memoria degli investitori per via del clima di serenità che ha caratterizzato il 2017.

- Advertising -

La domanda sorge spontanea: bisogna ricominciare ad aver paura? Di seguito una risposta in tre punti.

  1. L’ampiezza del movimento. Dal punto massimo a quello minimo, lo Stoxx Europe 600 ha ceduto l’8% circa. Al momento della Brexit nel 2016 aveva perso oltre il 10%, più del 15% alla fine dell’estate 2015 per via dei timori legati alla Cina e oltre il 20%, per motivi analoghi, tra novembre 2015 e febbraio 2016. Potremmo anche ricordare il mese di settembre del 2014 (-10,9%) o di giugno del 2013 (-11,2%). Non ravvediamo quindi motivi per farsi cogliere dal panico.
  2. L’aspetto «tecnico». Il «sell-off» ha interessato alcuni strumenti come gli ETF o i derivati utilizzati dalle strategie sistematiche più che i movimenti direttamente compiuti dagli investitori tradizionali. Gli è del resto stata impressa un’accelerazione dovuta alla liquidazione massiccia delle posizioni «short sulla volatilità» (scommettendo sul calo della volatilità dei mercati azionari). Negli ultimi mesi, queste posizioni erano andate accumulandosi in modo eccessivo e un ulteriore alleggerimento di queste strategie potrebbe alimentare un prolungamento del trend ribassista.
  3. Le cause fondamentali: i tassi a lungo termine e l’inflazione. Ad aver scatenato questo movimento sono la forte risalita dei tassi a lungo termine negli Stati Uniti prima e in Europa poi, il concretizzarsi di tensioni inflazionistiche nettamente più forti che negli ultimi mesi e la prospettiva di un intervento più aggressivo da parte delle banche centrali sulla normalizzazione monetaria. Dopo una breve pausa, questo movimento ha ritrovato nuovo slancio a seguito, tra l’altro, degli annunci della Banca di Inghilterra che ha paventato, nonostante la spada di Damocle della Brexit, la possibilità di un aumento più veloce e massiccio dei tassi ufficiali, coerentemente con la revisione al rialzo delle sue previsioni di crescita e di inflazione.

In realtà, questi aumenti dei tassi, così come la relativa accelerazione delle tensioni inflazionistiche, possono sorprendere dal punto di vista della tempistica e della rapidità, ma non di certo se si considera la loro coerenza rispetto all’andamento del ciclo economico. Non va dimenticato che uno dei grandi interrogativi del 2017 era riferito alla bassa inflazione e all’incapacità, per gli economisti e per le banche centrali, di spiegare il fenomeno.
I tassi a lungo termine e l’inflazione ritornano quindi semplicemente ad attestarsi su livelli coerenti con il progredire dei cicli economici nella varie aree. Alimentato dai fattori dettagliati nel preambolo, il movimento potrebbe proseguire.

- Advertising -

Viste le sue cause, in ultima analisi potremo parlare di una gradita pausa per riprendere fiato e di un punto di ingresso che molti cercavano e non avevano trovato nel 2017.


Olivier De Berranger – Chief Investment Officer – La Financière de l’Echiquier