Che il ribasso prosegua o meno, la marea si sta ritirando

Michele De Michelis -
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In agosto si ha sempre molto più tempo libero e, purtroppo per chi lavora nel mondo dei mercati finanziari, questo mese è stato spesso motivo di improvvisi mal di pancia da stress.

Come dimenticarsi del 2007, quando sorseggiando un cappuccino in terrazza lessi delle difficoltà di alcuni fondi della BNP Paribas e dei primi scricchiolii nel mondo dei mutui americani, o del 2011 con i mercati azionari europei che crollavano mentre camminavo in montagna, ma anche del 2015 quando correvo a controllare il crollo dei listini mentre ero in spiaggia con la mia famiglia?

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Non mi sono mai piaciuti i ribassisti ad oltranza, che vedono sempre nero in ogni situazione, ma è risaputo che anche gli orologi rotti ci azzeccano due volte al giorno.

Vi sono infatti moltissimi segnali che il ciclo sia in fase estremamente avanzata e, come dice Warren Buffett , solo quando la marea si ritira scopri chi stava nuotando nudo.

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Prendiamo in esame l’economia americana e notiamo che il PIl è cresciuto del 4,1 % all’anno ma con oltre un punto legato a fattori una tantum e in un trimestre dove gli utili delle società americane sono stati molto buoni ma con guidance future estremamente caute.

Aggiungiamo che a novembre ci saranno le elezioni di mid term con un Presidente Trump sempre più aggressivo nei confronti dei dazi sul commercio mondiale, condiamo il tutto con tassi di interesse in salita su di un enorme debito pubblico e privato e serviamo il tutto su una tavola mondiale con un’ Europa sempre in discussione politica per qualunque cosa e con una Cina che sta rallentando mentre accumula debito nel settore privato ricalcando fedelmente l’esperienza nipponica nei decenni che condussero al picco di fine anni Ottanta.

Aggiungerei che anche le attività di M&A sono ai massimi storici e ciò significa che le aziende preferiscono comprare business nuovo non riuscendo più a crescere in maniera autonoma.

Tornando al comportamento dei mercati finanziari, non mi stupirebbe quindi né assistere a dei tourbillon nei prossimi giorni, né vedere un’ ultima gamba al rialzo per la fine dell’anno, come appunto accadde sia nel 1999 che nel 2007. In tutto questo, credo che la vera sfida sia quella di trovare strumenti di reale protezione del portafoglio, visto che l’investimento in obbligazioni (salvo rare eccezioni e realizzate con il timing giusto) non solo non sarebbe in grado di proteggere le nostre asset allocation, ma addirittura potrebbe far incrementare le perdite complessive.

Chi segue i miei scritti mensili sa già da quanto tempo sia preoccupato del fatto che l’enorme massa di denaro raccolta dai fondi obbligazionari europei, uniti al QE della banca centrale, abbia fatto salire sopra ogni logica i prezzi di qualunque tipo di emissione venisse fatta in questi anni.

Mi auguro che gli errori del passato servano ad evitare cataclismi futuri, anche se rimane una bella sfida.


 Michele De Michelis – responsabile investimenti – Frame Asset Management