Banchieri e investitori a confronto

Matteo Ramenghi -
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Alla UBS Financials Conference, le banche hanno dato messaggi rassicuranti da un punto di vista di stabilità finanziaria.

Le più grandi sono attrezzate per raccogliere le sfide del futuro, ma le banche più tradizionali e con meno economie di scala probabilmente risentiranno di questa fase di debolezza economica»

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La scorsa settimana si è tenuta la UBS Financials Conference, che ha messo a confronto il top management delle principali banche e assicurazioni italiane con un centinaio di investitori istituzionali internazionali. Gli argomenti di discussione hanno spaziato tra il contesto economico, i rischi politici e l’evoluzione del quadro operativo e regolamentare.

Nel complesso, il messaggio è stato positivo perché, nonostante il rallentamento economico in atto, gli istituti di credito non stanno rilevando deterioramenti della qualità creditizia e hanno rassicurato sulla loro capacità di rifinanziarsi autonomamente, un punto di attenzione in vista della scadenza dei finanziamenti delle BCE a tassi particolarmente favorevoli (fino a un tasso negativo dello -0,4%). L’incertezza politica resta elevata, anche in considerazione delle elezioni europee di maggio, oltre che per il protezionismo, la Brexit e la situazione politica italiana. La mancanza di visibilità sulle politiche economiche ha avuto un effetto immediatamente visibile sui mercati, soprattutto su quello italiano, e uno inizialmente meno visibile sull’economia.

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Molte aziende rinviano investimenti in nuova capacità produttiva in attesa di periodi più tranquilli. Questo fenomeno viene indicato dalle banche come la principale causa delle decelerazione economica in corso, che ha portato l’Italia in recessione. Gran parte dei banchieri ha indicato che questa fase negativa non dovrebbe protrarsi a lungo, ma gli investitori restano cauti.

Si è discusso a lungo della Brexit e delle possibili conseguenze per il settore finanziario. La speranza è che prevalga il buon senso e si pervenga a un accordo per un’uscita ordinata del Regno Unito dall’Unione europea, ma il rischio di un incidente è certamente aumentato. Storicamente l’Inghilterra ha avuto un ruolo di leadership nel definire le regole per il settore finanziario europeo e ad oggi non è chiaro chi potrà sostituirla.

Non si tratta di aspetti teorici: la prossima Commissione europea dovrà infatti prendere posizione sulla fattibilità dell’unione bancaria, con relativa condivisione dei rischi tra Paesi, e dell’Unione dei mercati dei capitali, un progetto che ambisce a rendere più agevole il credito per le piccole e medie imprese facilitandone l’accesso al mercato dei capitali e disintermediando il credito bancario.

Anche il settore finanziario deve adattarsi alla rivoluzione tecnologica in corso. I colossi bancari stanno investendo in tecnologia per tenere il passo. Le banche medie e piccole, con modelli operativi tradizionali, non hanno la medesima potenza di fuoco e rischiano pertanto di divenire sempre più marginali.

Per molte di queste banche la risposta potrebbe essere nel consolidamento, anche a livello sovranazionale, per ottenere maggiori economie di scala, migliorare la redditività e liberare risorse necessarie a fare un salto tecnologico. Tuttavia, con poche eccezioni, il consolidamento appare ancora troppo lento rispetto a quanto vorrebbero investitori e BCE.

In conclusione, le banche hanno dato messaggi rassicuranti da un punto di vista di stabilità finanziaria. Se quelle più grandi sembrano ben attrezzate per raccogliere le sfide del futuro, le banche più tradizionali e con meno economie di scala probabilmente continueranno a risentire di questa fase di debolezza economica e delle incertezze politiche.


Matteo Ramenghi – Chief Investment Officer – UBS WM Italy