Sui mercati azionari cinesi torna la volatilità ma i timori degli investitori sono eccessivi

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La volatilità è tornata sui mercati azionari cinesi: dopo un rally del 90% dal suo minimo nel marzo 2020 e un picco nel febbraio 2021, l’MSCI China è sceso del 16% nell’ultimo mese. Questa volatilità è stata guidata da una combinazione di timori ciclici, legati alla graduale normalizzazione della politica cinese, a una maggiore pressione regolamentare/antitrust da parte delle autorità cinesi, nonché da visibili tensioni geopolitiche.

Tuttavia, ciò ha intaccato solo una parte del rialzo del 90% dell’MSCI China dai minimi di marzo 2020, ed è in contro tendenza con la transizione verso una vera e propria espansione economica a cui il Paese ha assistito di recente. Per gli investitori, questa transizione da una fase di ripresa a una di espansione economica è significativa. Storicamente, un fattore così importante ha portato a rendimenti medi e mediani dell’8-9% nei sei mesi successivi, con rendimenti positivi che si sono realizzati quasi il 90% delle volte. Di sicuro le recenti mosse delle autorità cinesi per una stretta sulla crescita del credito hanno sollevato timori che l’economia cinese possa aver raggiunto il suo picco post-pandemia, dando potenzialmente luogo a un ciclo di restrizione del credito seguito da una sostanziale correzione del mercato azionario, come è accaduto all’indomani della Crisi Finanziaria Globale.

Ciononostante, anche nel momento peggiore della pandemia – durante i lockdown di gennaio e febbraio 2020 – la recessione cinese è stata abbastanza modesta rispetto agli standard storici. Infatti, le recenti politiche reflazionistiche hanno semplicemente riportato le condizioni finanziarie alle loro medie storiche, al contrario degli stimoli monetari attivati dopo la crisi finanziaria globale che avevano riavviato alcune bolle all’interno dell’economia. Di conseguenza, ci aspettiamo che la risposta politica sia significativamente diversa da quella vista nei cicli precedenti, concentrata principalmente sulla rimodulazione delle misure per evitare il riemergere di bolle soprattutto nel settore immobiliare più esposto a leva finanziaria. Quindi, anche se la cautela degli investitori sul recente cambiamento della politica cinese è comprensibile, alla luce del più ampio contesto economico cinese, tali preoccupazioni cicliche sembrano sopravvalutare i rischi interni che vengono percepiti come un pericolo per l’espansione che ha caratterizzato gli ultimi mesi.

Quello che a nostro parere è più preoccupante, invece, è l’atteggiamento sempre più conflittuale dei regolatori cinesi verso le “Big Tech” nazionali come Alibaba e Tencent. L’attività di regolamentazione è iniziata alla fine del 2020 con l’annullamento della quotazione di Ant Group, la divisione fintech di Alibaba. Considerato dai più come il frutto di uno scontro personale tra il presidente cinese Xi Jinping e Jack Ma, il fondatore di Alibaba e ora ex presidente, questo evento ha dato origine a nuove misure antitrust e a una loro applicazione più rigorosa nei confronti delle principali società e piattaforme di pagamenti del Paese. Sebbene queste mosse possano sembrare in contraddizione con il focus sull’innovazione dell’ultimo piano quinquennale del Partito Comunista Cinese, bisogna notare che in realtà sin dagli anni ’90 la Cina guarda con diffidenza all’eccessiva concentrazione di potere delle aziende. Una regolamentazione più severa potrebbe spingere le grandi tech cinesi a ridistribuire il loro flusso di cassa verso il riacquisto di azioni e dividendi invece di reinvestirlo, proprio come alcune delle loro controparti americane stanno facendo, fornendo supporto ai rendimenti futuri degli azionisti.

Sul fronte delle tensioni geopolitiche, invece, gli Stati Uniti hanno rilanciato l’alleanza indo-pacifica denominata “The Quad”, che comprende Stati Uniti, Giappone, Australia e India. Mentre il potere di questa alleanza non è chiaro, data la sua storia, la prominenza dell’India, specialmente alla luce dei suoi continui scontri di confine con la Cina, potrebbe avvicinare la seconda nazione più popolosa al mondo alla sfera di influenza americana. Inoltre – e forse questo è ancor più importante- l’Unione europea ha imposto sanzioni contro il suo più grande partner commerciale in risposta alle “violazioni dei diritti umani”. Sebbene la Cina abbia ancora qualche asso nella manica, la capacità degli Stati Uniti di riuscire a portare nel proprio campo sia l’India sia l’Unione europea in questa fase iniziale, solleva dubbi circa il prorogarsi di una politica di contenimento da parte della nuova amministrazione USA. Resta da vedere, tuttavia, se l’allineamento dell’India e dell’UE con gli Stati Uniti sia di comodo e possa cambiare a seconda dell’interesse in gioco, o se siano stati compiuti progressi per rendere questa alleanza ancora più strategica. Gli Stati Uniti, nel frattempo, manterranno la capacità di sfruttare la dipendenza della Cina dal capitale globale e dall’accesso alla tecnologia avanzata, nel caso in cui le ostilità si intensifichino. Non sorprende quindi che la Cina abbia giocato d’anticipo: non è infatti una coincidenza che il suo ultimo piano quinquennale si concentri sull’autosufficienza interna, di cui avrà bisogno se Stati Uniti, UE, India e Cina dovessero diventare più ostili.

Considerato quindi che i dubbi sulla ripresa economica possono essere eccessivi, gli investitori hanno l’opportunità di allinearsi ancora una volta con l’attenzione generale della politica cinese sulla trasformazione interna. Tale attenzione sull’economia interna gioca a favore dei mercati cinesi delle A-share sia per la raccolta di capitali sia in termini di consumo interno. Guardando alle A-share quotate in Cina, le prospettive sugli utili ciclici sembrano destinate a beneficiare non solo dell’espansione economica in corso, ma anche della trasformazione domestica che sarà stimolata dal Piano quinquennale della Cina. In effetti, anche solo ipotizzando una ripresa ciclica degli utili, le A-shares cinesi ora vengono scambiate al di sotto dei multipli PE di metà ciclo, il che suggerisce che gli investitori potranno beneficiare degli utili e dei driver di performance guidati dal PE. Privilegiamo quindi un approccio selettivo/o un’esposizione gestita attivamente per trarre vantaggio da una crescita degli utili affidabile e focalizzata sul mercato interno. Sebbene non si possano escludere picchi ricorrenti di tensione tra Stati Uniti e Cina, dubitiamo che si raggiugeranno i livelli visti durante il culmine della guerra commerciale del 2018-19. Infine, un nuovo rafforzamento dello yuan cinese contro il dollaro USA può essere una concessione che la Cina è disposta a fare, specialmente se il focus delle autorità economiche è più orientato sui consumi interni rispetto alla dipendenza dalle esportazioni che storicamente hanno beneficiato di un regime valutario debole.