Tassi in aumento negli Stati Uniti: il dibattito tra Fed e mercato

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Dopo un 2020 stellare, il mercato obbligazionario statunitense sta subendo qualche pressione. Le massicce misure di stimolo del governo e il miglioramento delle prospettive economiche concorrono ad alimentare una delle più grandi paure degli investitori a reddito fisso: l’aumento dell’inflazione.

Il sell-off è stato marcato. Dopo un aumento di oltre il 7% lo scorso anno, l’Indice Bloomberg Barclays U.S. Aggregate ha ceduto più del 3% su base annua. Tra gli investitori la domanda sorge spontanea: queste vendite sono giustificate e i tassi continueranno verosimilmente a crescere? Noi crediamo di no.

1. Il mercato sta reagendo in modo eccessivo

Siamo dell’idea che il mercato si lasci influenzare troppo dall’ansia dei tassi d’interesse, prevedendo con eccessivo anticipo un aumento dei tassi da parte della Federal Reserve (Fed) nel 2022.

La nostra visione si basa sul fatto che la Fed è ansiosa di ripristinare la piena occupazione negli USA. Quanto alla valutazione del mercato del lavoro, la Fed ha elaborato un approccio di ampia portata, motivo per cui nessun intervento sul fronte dell’occupazione innescherà un rialzo dei tassi. I funzionari della Fed prenderanno in considerazione svariate misure di sottoccupazione, partecipazione al lavoro e persino tendenze occupazionali all’interno di specifici gruppi demografici e di reddito. Alcuni di questi – come lo scarso tasso di partecipazione della forza lavoro – suggeriscono un rallentamento del mercato del lavoro e fors’anche qualche strascico a lungo termine. In questo scenario, la Federal Reserve dovrà portare ancora un po’ di pazienza prima di valutare un inasprimento politico.

Inoltre, la Fed si è detta pronta a tollerare un incremento più o meno duraturo dell’inflazione oltre il target del 2% se la politica monetaria servirà ad accelerare la creazione di impieghi in un contesto di elevata disoccupazione. Lo dimostra chiaramente l’adozione del cosiddetto regime di “average inflation targeting”. Questa politica persegue il mantenimento di un tasso d’inflazione medio in un dato periodo, piuttosto che il rispetto permanente di un limite rigido.

Ecco perché riteniamo che la politica della Fed si confermerà ampiamente accomodante, incoraggiando il rafforzamento dell’attività economica fino alla fine del 2023 o addirittura all’inizio del 2024. Inoltre, il presidente della Fed, Jerome Powell, tende ad annunciare con largo anticipo qualunque possibile intervento di inasprimento della politica. A nostro avviso, quindi, il tracciato della Fed sarà piuttosto strutturato. Questa strategia ricorda molto quella del 2013-2015, quando la Banca Centrale aveva apportato il primo aumento ai tassi dopo la crisi finanziaria globale.

È in parte per questa nostra opinione sull’operato della Fed che al momento i Treasury US ci sembrano piuttosto interessanti. Se il mercato confermerà questa nostra visione della politica monetaria, i rispettivi rendimenti potrebbero diminuire e i corrispondenti valori obbligazionari aumentare di conseguenza. In un’ottica di lungo termine, invece, manteniamo un approccio neutrale nei confronti dei Treasury.

Negli ultimi trimestri, la combinazione di una politica monetaria accomodante e di un massiccio pacchetto di stimoli fiscali ha spinto al rialzo le aspettative inflazionistiche e con esse il valore dei titoli del Tesoro americani protetti dall’inflazione (i cosiddetti “Treasury Inflation-Protected Securities” o TIPS). Tuttavia, la tolleranza della Fed per un’inflazione moderata potrebbe spingere ulteriormente al rialzo le aspettative, soprattutto se la Banca Centrale continuerà a offrire stimoli più a lungo di quanto attualmente previsto dal mercato. E se le stime aumentano, sale anche il valore dei TIPS.

Se invece ci sbagliassimo e l’aumento dei tassi d’interesse fosse imminente? Anche in quel caso ci sono buoni motivi per non abbandonare le obbligazioni di alta qualità.

2. I tassi stanno aumentando per una ragione ben precisa: la forte ripresa

Le aspettative di crescita e inflazione sono migliorate, ora che i mercati intravedono la luce alla fine del tunnel pandemico. Le campagne vaccinali proseguono e i contagi stanno diminuendo: due chiari segnali forieri di una crescita più vigorosa e dell’ulteriore rafforzamento del mercato del lavoro statunitense, a fronte della graduale revoca delle restrizioni contro il Covid-19.

Con questi fattori positivi la Fed non ha alcun motivo di annunciare degli aumenti dei tassi. D’altro canto, il suo impegno a mantenerli bassi in un quadro economico più robusto ha fatto lievitare le aspettative inflazionistiche. Pur di ridurre ulteriormente la disoccupazione, la Fed è disposta a tollerare un’inflazione moderata. Eppure, il mercato ritiene che l’aumento dell’inflazione possa indicare che un incremento dei tassi non è poi così lontano. Secondo le stime di consenso, il primo intervento potrebbe avvenire già nel 2022.

3. Le obbligazioni core si dimostrano resilienti all’aumento dei tassi

Quando i tassi aumentano, il valore delle obbligazioni diminuisce. La storia insegna però che questa è solo una faccia della medaglia. Generalmente, quando i tassi aumentano, non lo fanno mai così rapidamente e bruscamente da provocare drastiche perdite per gli investitori in obbligazioni core durante un ciclo di incremento.

I rendimenti che le obbligazioni offrono agli investitori e altri fattori che spingono al rialzo i valori obbligazionari possono infatti contribuire a generare una performance totale positiva. La tabella seguente mostra i periodi di rialzo dei tassi negli ultimi decenni. Di tutte queste fasi, solo due sono state caratterizzate da rendimenti totali negativi per l’indice di riferimento delle obbligazioni core. Nonostante l’incremento dei tassi, il rendimento medio in questi periodi è stato di quasi il 4%.

Un quadro più preciso delle possibili mosse della Fed si può delineare probabilmente dalla storia recente. Quando i banchieri centrali hanno iniziato ad aumentare i tassi nel 2015, l’hanno fatto gradualmente: il primo intervento di 25 punti base è stato apportato a dicembre 2015, mentre per quello successivo la Fed ha attesto un intero anno. L’anno seguente ci sono poi stati altri tre incrementi, ciascuno di soli 25 punti base.

L’esperienza storica sarebbe già un motivo abbastanza convincente per non abbandonare le allocazioni alle obbligazioni core quando i tassi cominciano ad aumentare. Da parte nostra però, vorremmo aggiungere che una componente obbligazionaria core è irrinunciabile per un portafoglio equilibrato in qualunque contesto di mercato. Disporre di investimenti solidi in obbligazioni core può infatti fornire una certa stabilità quando si verificano shock imprevisti e le attuali circostanze di mercato giustificano ancor di più questa visione.

Con i prezzi degli asset rischiosi schizzati alle stelle, gli investitori dovrebbero concentrarsi sulla diversificazione dalle azioni e sulla conservazione del capitale nel reddito fisso. I mercati stanno scontando la probabilità di una ripresa economica post-pandemia, ma il percorso potrebbe rivelarsi accidentato. Come ha dimostrato il crollo del mercato all’inizio del 2020, il reddito fisso core di alta qualità può fungere da ancora dei portafogli quando le azioni navigano in acque turbolente.

Che tipo di fondi core o core-plus considerare? Quelli che non comportano un rischio di credito eccessivo e che hanno una correlazione alle azioni relativamente bassa, ovvero il loro rendimento non è strettamente legato a quello azionario.

4. Anche le obbligazioni municipali core mostrano stabilità in caso di aumento dei tassi

Come le obbligazioni imponibili, anche quelle municipali hanno risentito dell’aumento dei rendimenti quest’anno. Sebbene negli ultimi anni i cosiddetti “muni bond” siano stati più guidati dall’andamento del credito, i tassi d’interesse continuano a esercitare un impatto sostanziale. Da inizio anno al 18 marzo, i rendimenti dell’Indice Bloomberg Barclays Municipal Bond sono calati dello 0,75%. Ma come per le obbligazioni imponibili, una prospettiva a lungo termine può essere particolarmente eloquente. Se si considerano gli stessi periodi di aumento dei tassi analizzati in precedenza con riferimento alle obbligazioni imponibili core,

i risultati di quelle municipali sono simili. Nella maggior parte dei casi, le performance sono state positive o pressoché invariate. La media di tutte e sette le fasi è un rendimento positivo  di oltre il 4%.

“L’aumento dei tassi può aiutare le nostre strategie ad aumentare i rendimenti esentasse”, ha spiegato Neil Amirtha, Gestore dei prodotti a reddito fisso. “La contrazione degli spread, ovvero il premio corrisposto agli investitori per il rischio di credito assunto rispetto agli asset privi di rischio, ci permette di sfruttare a nostro vantaggio le dislocazioni nei vari segmenti. Tra questi vi sono le obbligazioni degli ospedali e delle case di riposo, oltre a tematiche tipiche del settore dei trasporti, come i mezzi pubblici. Per questi ambiti gli spread devono ancora normalizzarsi completamente e tornare ai livelli pre-pandemia”.

L’attuale mercato delle obbligazioni municipali si sta già riprendendo dalla crisi del coronavirus e il gettito fiscale si preannuncia migliore del previsto. Non è tutto: a soffiare vento in poppa sono anche recenti misure di stimolo da parte di Washington. Il pacchetto approvato a dicembre “2020 CARES Act” e quello di quest’anno ribattezzato “American Rescue Plan Act” saranno certamente di grande aiuto. Insieme, forniscono circa 1.200 miliardi di dollari di incentivi legati alle obbligazioni municipali per ambiti come le amministrazioni statali e locali, la sanità e l’istruzione. Il risultato dovrebbe essere un ulteriore miglioramento dei fondamentali per i “muni bond”.

Di primo acchito, le prospettive di incremento dei tassi d’interesse potrebbero scoraggiare gli investimenti nel reddito fisso. Eppure, sia in un’ottica di lungo termine che per il ruolo che svolgono in un portafoglio bilanciato, è evidente come l’incremento dei tassi non sia affatto un valido motivo per abbandonare gli investimenti in obbligazioni.