Perchè questa COP può essere diversa dalle precedenti

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La crisi climatica richiede una risposta di natura sistemica, quindi sembra difficile speculare su possibili risultati specifici dalla COP 26 a Glasgow – ma dobbiamo sperare!  Dopo gli studi dell’IEA a maggio e dell’IPCC in estate, ci sono grandi aspettative sulla possibilità di risultati positivi.  In particolare, c’è la sensazione che questa COP sia vista da più parti come l’ultima possibilità per il mondo di imboccare correttamente un percorso verso le emissioni nette zero.  In particolare gli attivisti per il clima sperano che la COP26 dia il via ad una spinta su scala globale per tagliare le emissioni, ma la triste realtà è che il mondo rimane molto lontano da quel taglio del 50% delle emissioni che sarebbe necessario per rendere il livello di +1,5oC una possibilità realistica.  È un dato di fatto che i gli ultimi numeri sui contributi determinati su base nazionale (NDC) abbiano ridotto il divario di appena 14 punti percentuali.  Il primo e unico Paese ad aver imboccato la strada giusta? Il Gambia.

Al di là di queste ambizioni dichiarate in termini di impegni sul fronte climatico, il successo a Glasgow sarà in gran parte basato su 3-4 questioni specifiche: la finalizzazione dell’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, le promesse di natura finanziaria; la limitazione degli investimenti transfrontalieri nel settore del carbone e una miriade di altre tematiche, dalla biodiversitàalla distruzione di ecosistemi, alle considerazioni di genere e all’uso delle terre indigene.  La finalizzazione dell’articolo 6 è stata uno dei principali punti di stallo nelle ultime due tornate di colloqui della COP e tre dimensioni chiave devono ancora essere risolte. Possiamo metterle insieme sotto l’ampia etichetta dello scambio di emissioni di carbonio – è improbabile che vedremo un accordo sul prezzo globale del carbonio, e anche i progressi sul meccanismo di aggiustamento del carbonio alla frontiera potrebbero essere fuori portata dal punto di vista del raggiungimento di un accordo.

Le economie sviluppate riunite a Parigi si erano allineate sul fatto che avrebbero fornito 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 e fino al 2025 ai Paesi in via di sviluppo per aiutarli ad affrontare il cambiamento climatico.  Al momento, il livello di finanziamento sembra ammontare a circa 80 miliardi di dollari all’anno, e sebbene non ci siano “proporzioni” definite, è opinione diffusa che gli Stati Uniti non stiano ancora mettendo la loro quota corretta.  Naturalmente la questione del finanziamento è complessa, poiché alcuni attori non saranno pronti a impegnarsi in promesse future se gli altri non hanno mantenuto quelle passate. Risolvere questo enigma potrebbe rappresentare un fattore rilevante, in grado di agevolare il confronto e favorire un compromesso in senso più ampio.  C’è anche una remota possibilità che si possa giungere a un accordo su un pacchetto finanziario che vada oltre il 2025.

Il presidente della COP 26, il britannico Alok Sharma, ha espresso la speranza che “questa dovrà essere la COP che consegna il carbone alla storia”. Questo obiettivo potrebbe essere una forzatura visti i recenti problemi riguardo alla carenza di gas naturale e l’aumento dei prezzi, che ha indirettamente riportato in auge l’energia proveniente dal carbone. Tuttavia, la fine del sostegno diretto dei governi alla produzione di energia termoelettrica a carbone in assenza di sistemi per la cattura delle emissioni è stata concordata già dal G7 a giugno.  La recente mossa di Cina e Corea del Sud suggerisce che potrebbe essere possibile ampliare tale tema a Glasgow, anche se questo non farebbe nulla per fermare il sostegno dei governi alla produzione di energia a carbone in assenza di sistemi per la cattura delle emissioni a livello domestico, con la Cina attualmente impegnata a far crescere il suo consumo di carbone nei prossimi anni.