Confusi e felici

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Avevamo ormai accettato l’idea di una FED più aggressiva, pronta ad agire con determinazione non solo con rialzi dei tassi a ripetizione, ma anche con la partenza a breve del Quantative Tightening attraverso il mancato riacquisto dei titoli in scadenza. Inflazione da domare anche con la contrazione di bilancio, dunque, ritenendo ormai solide le condizioni finanziarie di famiglie e imprese, tali da non destare preoccupazioni su eventuali correzioni dei mercati finanziari. Lo scenario delineato prevedeva negli Stati Uniti una curva dei rendimenti al rialzo e appiattita, dollaro in rafforzamento e sull’azionario il proseguimento della rotazione di stile da growth a value. L’attesa stretta della Fed ha creato però preoccupazione per l’effetto indesiderato che un eccessivo rialzo dei tassi potrebbe determinare, ovvero un forte rallentamento economico o addirittura l’entrata in stagflazione. In questo caso l’azione della FED potrebbe terminare prima del previsto, con i tassi a toccare il picco già quest’anno. Forse per questa ragione, nessuno dei membri della Fed che ha parlato recentemente, ha sostenuto l’idea di un rialzo di 50 bps nella riunione di marzo. Fatto sta che il mercato azionario che si trovava ad un livello di ipervenduto estremo, già visto nel marzo del 2020 durante la fase acuta della crisi pandemica, ha reagito in modo vigoroso.

Il future sul Nasdaq, sceso quasi del 15% dai massimi del novembre scorso, in pochi giorni ha recuperato circa il 50% del movimento al ribasso. Al di là dei fattori tecnici, a dare slancio al mercato azionario sono stati i risultati delle trimestrali sia negli Stati Uniti che in Europa. Sembra sia difficile, quindi, avere certezze per il prossimo futuro. Oltre alle diverse opzioni di politica monetaria abbiamo di fronte numerose questioni, tra cui il rallentamento economico e i rischi normativi in Cina, le tensioni tra Russia e Ucraina e l’evoluzione della pandemia. Inoltre, l’OPEC+ ha ratificato il previsto aumento di produzione di 400.000 barili al giorno per marzo che non dovrebbe avere particolari effetti benefici sul prezzo del petrolio nel breve termine. È presto per dire se il ribasso a cui abbiamo assistito sia concluso. Teniamo presente la lezione che abbiamo appreso dopo lo scoppio della bolla dot-com nei primi anni 2000. Abbiamo avuto diverse fasi di recupero (bear market rally) all’interno di una tendenza primaria ribassista. In ogni caso la fase di una politica monetaria accomodante, con un’abbondante liquidità nel sistema utile a sostenere i mercati, verrà progressivamente meno. Comprare sulla debolezza a ogni correzione potrebbe non essere più la strategia corretta. Rapidità e flessibilità nel modificare l’asset allocation saranno la chiave per affrontare i mercati nel prossimo futuro.

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