Il mercato e l’economia possono prosperare in un mondo post stimolo?

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Gli ultimi due anni (2020-2022) sono stati a dir poco unici. Una pandemia, i lockdown, poi politiche di sostegno molto aggressive sul fronte della politica monetaria e di quella fiscale, negli Stati Uniti come a livello globale. E ancora il rapidissimo sviluppo di vaccini che hanno consentito una sorprendente ripresa a forma di V. In tutto questo percorso si è registrata parecchia volatilità.

Oggi ci troviamo in un contesto di alta inflazione; negli USA è repentinamente passata dallo 0% del 2020 al 7,5% nel 2022. Come investitori di lungo termine pensiamo che l’inflazione sarà transitoria e si normalizzerà verso livelli del 3%, cioè certamente superiori alle previsioni del 2%. Ovviamente queste pressioni inflazionistiche porteranno ad aumenti dei tassi, in quanto essi sono uno degli strumenti che si possono mettere in atto per evitare che la crescita economica e i consumi frenino.

Questa ondata inflazionistica si sta attualmente ripercuotendo soprattutto sul settore energetico, ambito nel quale anche la crisi in Ucraina si sta facendo sentire a vantaggio del dollaro. Come ben sappiamo pressioni sul petrolio danno vantaggio al dollaro. Ma l’inflazione ha inciso anche sui consumi, creando importanti strozzature nella catena d’approvvigionamento. Ci sono, però, diversi indicatori che ci portano a pensare che i mercati abbiano già prezzato questo contesto inflazionistico. Dall’analisi, per esempio, del mercato dei TIPS, vediamo che le previsioni sull’inflazione per i prossimi 5 anni sono al 2,1%. Quello che preoccupa veramente la FED è il mercato del lavoro. C’è tensione nel mercato, e questo porta a una inflazione salariale che è viscosa; peraltro, gli stipendi hanno un grande peso nell’inflazione.

Le banche centrali si sono concentrate, negli ultimi anni, sulla crescita dell’economia reale e della disoccupazione e non si sono dovute preoccupare dell’inflazione. Anche se non stiamo entrando in un contesto inflazionistico come quello degli anni ’70, la Fed deve guidare e indirizzare il tutto perché si potrebbe creare instabilità e, di conseguenza, dei rischi. Negli Stati Uniti l’iniezione a livello fiscale per affrontare la pandemia è stata enorme. Nel resto del mondo gli sforzi sono stati simili. L’esito è stato più o meno il medesimo ovunque. In una prima fase, a seguito dei lockdown e delle misure restrittive si è registrata una contrazione economica. Poi un contesto di inflazione e rimozione dello stimolo fiscale (anche se con timing e sfumature differenti tra USA e altre economie).

In questo contesto rimaniamo cauti e sottopesati nella parte lunga della curva rispetto ai benchmark, con una minore esposizione al beta di mercato nel credito corporate, essendo gli spread tornati ai minimi post-crisi; per trarre beneficio dal processo di trasformazione attualmente in corso nell’economia, riteniamo importante privilegiare un approccio alla selezione del credito in modalità bottom-up con preferenza su titoli di qualità.