Climate Change: impatti e rischi. Come gestirli?

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Nel corso dell’ultimo decennio si è registrato un sensibile incremento di catastrofi naturali come alluvioni, terremoti, siccità, tifoni: gli eventi catastrofici avvenuti tra il 2000 e il 2019 sono stati 7.348 di cui 6.681 legati al clima, un numero sicuramente maggiore rispetto al decennio precedente che ne contava 4.212 di cui 3.656 conseguenti al fattore climatico.

Dall’analisi dei dati presentati in occasione dell’International Day for Disaster Risk Reduction del 2020, è emerso che tali calamità abbiano già causato 1,23 milioni di vittime, con un impatto economico negativo pari a 2,97 trilioni di dollari. In particolare tra i molteplici fattori di rischio che caratterizzano l’intero bacino del Mediterraneo troviamo la riduzione delle risorse idriche, l’instabilità dei suoli, gli incendi boschivi, il consumo del suolo, la desertificazione e la perdita di produttività colturale ed ecosistemica, con una conseguente riduzione di risorse economiche per le aziende che operano in questi territori. Dall’analisi dei dati presentati dall’Osservatorio Climate Finance della School of Management del Politecnico di Milano, relativi all’impatto del rischio climatico su imprese, istituzioni finanziarie ed enti pubblici, è emerso, ad esempio, che il comparto delle costruzioni risulta essere quello maggiormente colpito, dal momento che l’aumento di un grado ha portato in un decennio a una riduzione del fatturato del settore di oltre il 16%, seguito dal settore finanziario (-11,8%) e quello delle estrazioni (-10,4%).

Lo scenario dei rischi ambientali in Italia

L’Italia ha un’elevata esposizione ai rischi ambientali: secondo il report del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici “Analisi del rischio – I cambiamenti climatici in Italia”, la probabilità del rischio da eventi estremi nel nostro Paese è aumentata del 9% negli ultimi vent’anni.

  • Uno dei principali fattori di rischio è caratterizzato da un generalizzato innalzamento della temperatura: gli scenari futuri prevedono, infatti, una media fino a 5°C in più nel 2100 rispetto a inizio secolo, soprattutto se si considera che i periodi di siccità, saranno sempre più frequenti e intervallati da forti precipitazioni intense e a carattere alluvionale.
  • L’aumento delle temperature potrebbe avere un impatto importante anche sul rischio da dissesto geo-idrologico su tutto il territorio, considerata anche la complessità di un territorio come quello italiano che per le sue caratteristiche geologiche, morfologiche e idrografiche, è già naturalmente predisposto a fenomeni di dissesto, quali frane e alluvioni.
  • Periodi prolungati di siccità potrebbero condizionare la disponibilità delle risorse idriche in Italia, soprattutto nei mesi estivi e nelle zone semi-aride. Si prospetta, quindi, un duplice rischio: il primo legato all’elevata competizione fra settori (consumi civili, comparto agricolo, industria, energia, turismo) per l’approvvigionamento di acqua, e l’altro legato alla sua qualità, a causa dei fenomeni di eutrofizzazione, variazione nei contenuti di ossigeno, apporto di nutrienti e contaminanti da agricoltura e zootecnia.
  • Si prospetta, inoltre, un aumento del rischio di incendi e un incremento delle emissioni in atmosfera di gas a effetto serra e particolato, con significative conseguenze sulla salute dell’ambiente e delle persone che lo abitano.
  • Infine, l’innalzamento delle temperature ha un impatto importante anche nel settore agricolo e dell’allevamento, causando, soprattutto nelle zone più aride del sud Italia: variazione della durata della stagione di crescita, precocità della manifestazione delle fasi fenologiche e potenziale spostamento degli areali di coltivazione verso maggiori latitudini e quote in cui si possono creare migliori condizioni di crescita e sviluppo, impatto negativo sul benessere e la qualità del bestiame allevato.

Da un’analisi dei dati del Joint Research Centre emerge che, entro la fine del secolo, i danni totali annui causati dai cambiamenti climatici nell’UE potrebbero ammontare a circa 190 miliardi di euro. Secondo il report “Analisi del rischio – I cambiamenti climatici in Italia”, analizzando lo scenario climatico ad alte emissioni, le perdite di PIL pro capite in Italia sarebbero superiori al 2,5% nel 2050 e tra il 7-8% a fine secolo.

Tali perdite economiche – che tenderebbero a distribuirsi in modo non omogeneo – porterebbero, inoltre, a un incremento delle disuguaglianze tra individui e territori e a un inasprimento delle tensioni al loro interno.

In questo scenario, come possono le imprese affrontare e gestire i nuovi rischi?

Come dicevamo, le aziende sono fortemente impattate da questi nuovi rischi; tra il 2018 e il 2019, l’aumento di un grado centigrado ha indotto un calo delle performance del tessuto imprenditoriale italiano pari al 5,8% del fatturato e al 3,4% della redditività, misurata tramite l’EBITDA. É necessario, quindi, che aziende, governi, istituzioni e tutti gli attori coinvolti agiscano attraverso uno sforzo collettivo per la mitigazione dei cambiamenti climatici, attraverso la promozione di nuovi modelli di sviluppo e investimenti che comprendano l’utilizzo di Fondi stanziati dalle istituzioni UE, tra cui ad esempio quelli previsti dal PNRR nell’ambito del Piano Next Generation EU.

Le aziende, anche in un’ottica di etica ambientale intergenerazionale e di sviluppo sostenibile, devono implementare un piano di risk management integrato che possa metterle in condizione di gestire preventivamente un eventuale rischio, le renda più resilienti e quindi più competitive.

 


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Manca però ancora una cultura di prevenzione. Nonostante la crescente frequenza e magnitudo delle calamità naturali nel nostro Paese, non esiste ancora una legge organica che disciplini in via generale gli interventi statali quando viene dichiarato lo stato di calamità.

Una ricerca di ANIA ha evidenziato che, nonostante quasi tutte le Compagnie operanti sul mercato abbiano introdotto nelle polizze la possibilità di coprire gli eventi catastrofali (terremoti e alluvioni in particolare), la loro sottoscrizione seppure in crescita, rimane ancora marginale.

I numeri parlano chiaro: l’87,1% delle coperture fabbricati non presenta alcuna estensione assicurativa (polizze attive al 31 marzo 2021), il 7,3 % copre il rischio sismico, il 2,6 % il rischio alluvione e solo il 3 % entrambi i rischi. Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, con riguardo sia ai rischi commerciali sia residenziali, si evidenzia una concentrazione nelle regioni del Nord Italia (60%), seguita dal Centro (20%) e dal Sud Italia e Isole (20%).

In molti Paesi europei qualsiasi contratto di assicurazione include anche le calamità naturali. Sino ad ora in Italia i disegni di legge che hanno tentato di introdurre un sistema obbligatorio o semi-obbligatorio non hanno avuto seguito. “La collaborazione tra pubblico e privato – auspica ANIA – può essere rappresentata da un meccanismo di assicurazione obbligatoria contro gli eventi sismici e climatici intensi che sia in grado di sgravare lo Stato – e quindi l’intera collettività – da una spesa sempre più importante, pari a circa 7 miliardi all’anno”.