ItalExit: speranza, realtà o follia?

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La Brexit è una realtà dalle 24:00 del 31 gennaio 2020. Nel corso degli anni, l’ipotesi che l’Italia segua la Gran Bretagna sta guadagnando popolarità. In particolare, nell’ultimo anno, a seguito delle politiche e degli irrazionali, autoinflitti e distruttivi lockdown indotti dal covid, si è rianimato l’interesse per l’idea.

L’obiettivo di questo articolo non è quello di fornire una critica dell’idea di Italexit. Ciò su cui vogliamo concentrarci sono alcuni aspetti che devono essere considerati razionalmente prima di prendere l’idea sul serio e in modo realistico.

È chiaro che l’Italia non è il Regno Unito. Per cominciare, il Regno Unito ha la sterlina, l’Italia ha l’euro ed è profondamente integrata nel sistema dell’Euro. Mentre il Regno Unito ha impiegato quattro anni per completare la procedura Brexit, questo da solo suggerisce che nel caso dell’Italia ci vorrebbe molto più tempo. Dimentichiamo anche il fatto che l’UE farebbe tutto il possibile per evitare che ciò accada in quanto probabilmente “punirebbe” l’Italia su tanti fronti. L’uscita dell’Italia dall’Euro significherebbe probabilmente la fine dell’Euro e questo è probabilmente il principale ostacolo di fronte ad un ipotetico Italexit. Ricordiamo tutti la Crisi Greca del 2014.

L’esperienza suggerisce che una buona definizione del problema è metà della soluzione. Questo perché una buona definizione suggerisce anche una soluzione. È anche una buona idea poter apprezzare le dimensioni o l’ordine di grandezza del problema. Il problema del distacco dell’Italia dal sistema Euro/UE deve quindi essere definito. Questo può sembrare facile: il problema è lasciare l’Euro, creare una nuova valuta, soddisfare tutti gli obblighi di debito, ecc., ecc. In teoria sì, questo è l’obiettivo. Ma, come detto, per postulare il problema razionalmente e in modo credibile si dovrebbe prima apprezzare la grandezza dell’impresa. A tal fine, illustriamo la mappa della resilienza dell’UE calcolata utilizzando solo 24 variabili relative al PIL di ciascuno Stato membro. I dati provengono da EUROSTAT.

  • Prodotto interno lordo ai prezzi di mercato
  • Spese di consumo
  • Domanda interna
  • Spese per consumi finali delle famiglie e delle istituzioni senza scopo di lucro al dettaglio
  • Spese di consumo delle famiglie
  • Spese di consumo dei beni di moltiplicazione delle famiglie
  • Spese di consumo delle amministrazioni pubbliche
  • Spesa per consumi individuali delle amministrazioni pubbliche
  • Spesa per consumi collettivi delle amministrazioni pubbliche
  • Investimenti lordi
  • Investimenti fissi lordi
  • Variazioni delle scorte e acquisizioni meno cessioni di oggetti di valore
  • Variazioni delle scorte
  • Acquisizioni meno cessioni di oggetti di valore
  • Esportazioni di beni e servizi
  • Importazioni di beni e servizi
  • Saldo estero di beni e servizi
  • Saldo esterno – Beni
  • Saldo esterno – Servizi
  • Valore aggiunto lordo (ai prezzi base)
  • Imposte meno sovvenzioni sui prodotti
  • Redditi da lavoro dipendente
  • Risultato lordo di gestione e reddito misto lordo
  • Imposte sulla produzione e sulle importazioni al netto delle sovvenzioni

Ci sono 648 variabili (27 x 24). La Mappa di Resilienza è la seguente:

 

 

La parte ingrandita è relativa a un solo paese dell’Unione.

Ci sono oltre 73400 interdipendenze tra i suddetti 648 parametri! E stiamo parlando di un quadro estremamente grossolano e semplificato! Le analisi di cui sopra, che abbiamo eseguito ogni trimestre negli ultimi quindici anni, forniscono un riflesso dello stato di salute dell’UE, ossia la sua resilienza e quella di ogni Stato membro e le concentrazioni di fragilità, consentendoci di studiare l’esposizione al rischio dell’intero sistema in scenari ipotetici (una sorta di analisi “e se?”).

Se usiamo i dati della Banca Mondiale, che copre molte più dimensioni di un paese, abbiamo circa 1000 variabili per paese, con un totale di oltre 27000 variabili e oltre 300.000.000 di interdipendenze! Ora, per comprendere un tale sistema e le sue dinamiche – ricordate, nulla rimane costante – bisogna essere in grado di spiegare le sue interdipendenze in quanto proprio esse sono responsabili del suo funzionamento. Le interdipendenze sono cruciali qui perché l’Italia, come qualsiasi altro stato membro dell’UE, interagisce con gli altri paesi proprio attraverso queste interdipendenze. Ciò significa che per eseguire l’Italexit bisogna prima capire se e come una parte di queste interdipendenze verrebbe alterata o spezzata. Sarebbe un’operazione di chirurgia digitale incredibilmente complessa. Il problema è, evidentemente, estremamente complesso se visto da una prospettiva sistemica, che, tra l’altro, è l’unica prospettiva che ha senso. Ricordami, la Brexit sarebbe uno scherzo rispetto a quello che potrebbe essere un Italexit a causa della stretta integrazione monetaria.

Finora, non abbiamo detto nulla di un altro aspetto cruciale del problema. A causa delle sue politiche irrazionali sul covid e, ultimamente, a causa della guerra per procura strategicamente sbagliata che l’UE sta combattendo per conto degli Stati Uniti in Ucraina, l’UE è in uno stato di debolezza. Di seguito è riportata l’evoluzione della resilienza, tema caro all’UE a causa dei suoi Piani Nazionali per la Ripresa e la Resilienza, che dovrebbero aumentare appunto la resilienza stessa.

 

 

La resilienza dell’UE è in una chiara tendenza al ribasso. Questo è, in effetti, il peggior momento per parlare di Italexit. Inoltre, anche la resilienza dell’Italia sta diminuendo. Durante i primi 9 mesi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e sotto il governo Draghi, l’Italia ha perso il 3% della sua resilienza.

 

 

Quindi, stiamo parlando di due animali feriti con interessi molto contrastanti. Immaginate le conseguenze. Riuscite a immaginare, per esempio, l’Italia e l’UE rinegoziare i soldi che l’Italia ha già ricevuto nel quadro dei Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza?

Infine, teniamo a mente una cosa: quando il Regno Unito ha messo sul tavolo l’idea di Brexit, la loro resilienza era elevatissima – poco più del 91%. Questo li ha aiutati molto. Oggi la resilienza dell’Italia è di circa il 70%, mentre era circa l’89% nel 2018. E quanto sarebbe dopo un tira molla, diciamo, decennale con Bruxelles? Sessanta per cento? Cinquanta per cento? Quale sarebbe la resilienza dell’UE? In uno scenario post-Italexit l’Italia avrebbe disperatamente bisogno di un partner commerciale forte, ma Italexit sarebbe un colpo, forse anche mortale all’EU stessa. E questo affonderebbe ulteriormente l’Italia.

Di fronte allo stato attuale delle cose – alta incertezza, turbolenze pronunciate, fragile situazione geopolitica – voler frammentare ulteriormente l’UE sarebbe (potenzialmente) disastroso per l’Europa, quindi per il mondo. Ricordate cosa abbiamo pensato tutti delle conseguenze dell’uscita della Grecia dall’UE nel 2014 solo perché alcune banche francesi e tedesche avevano qualche interesse lì (e che l’Europa ha salvato con i soldi dei contribuenti)?

Uno si chiede se i politici sanno davvero di cosa stanno parlando. Non è difficile convincere un economista a annotare alcuni numeri di PIL, svalutazione, inflazione in uno scenario ipotetico di questo tipo. Il problema è che operazioni come Italexit non possono essere progettate sul retro di una busta.

Detto questo, Italexit è fattibile? Decisamente no. Metterlo sul tavolo oggi? Follia. Parlare di Italexit all’elettorato italiano oggi, in virtù delle prossime elezioni del 25 settembre, è irresponsabile. E mi sto mordendo la lingua.

Attento a ciò che desideri. Potresti ottenerlo.