Obbligazioni, cronaca di un ritorno annunciato

Olivier Candrian, Senior Portfolio Manager presso REYL Intesa Sanpaolo -
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L’anno appena trascorso lascerà l’amaro in bocca agli investitori, con portafogli in calo del 14,40% in media per un profilo bilanciato in euro (1). Tuttavia, è stato proprio il calo del 18% (2) delle obbligazioni a lasciare il segno, con lo spettro dell’inflazione che è tornato a aleggiare sui mercati. Proprio il nemico giurato dei mercati obbligazionari. Se a questo si aggiunge l’aumento dei tassi di riferimento, dopo anni di tassi e cedole storicamente bassi, vi erano tutti gli ingredienti per ottenere l’anno peggiore per questa classe di attivi da molto tempo a questa parte.

2023: l’anno della ripresa obbligazionaria

La brutalità dell’eccezionale shock inflazionistico dell’offerta a cui abbiamo assistito nell’ultimo anno ha indotto le banche centrali ad apportare drastici adeguamenti alle rispettive politiche monetarie. Se da un lato il processo di disinflazione sembra essere in corso negli Stati Uniti, dall’altro l’attività economica inizia a manifestare segnali di rallentamento. Ciononostante, il tono ostile rimarrà dominante durante le prossime riunioni del Federal Open Market Committee (FOMC).

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Prima o poi la politica monetaria andrà a vantaggio degli investitori obbligazionari. Attualmente il rapporto rischio/rendimento offerto dalle obbligazioni è già interessante. I pianeti sembrano quindi essersi allineati per fare del 2023 l’anno della ripresa obbligazionaria.

Come è avvenuto per le azioni, anche i mercati obbligazionari hanno registrato un ottimo inizio d’anno. Nonostante il recente rimbalzo, che ha visto passare il rendimento delle obbligazioni societarie statunitensi 1-10 anni dal 5,33% al 4,80% (e il decennale statunitense dal 3,87% al 3,40%), i mercati ci sembrano ancora appetibili per sostenere un posizionamento “barbell” che comprende il debito societario Investment Grade a breve scadenza e una posizione lunga sul debito sovrano, in vista di un rallentamento economico e di un aumento del premio per il rischio di credito. A titolo informativo, i seguenti rendimenti provengono dal segmento corporate Investment Grade 1-3 anni in franchi, euro e dollari, rispettivamente 1,40%, 3,73% e 4,87% (3). Non si vedevano rendimenti del genere dal 2008. È inoltre opportuno notare che dopo 8 anni il debito a rendimento negativo è scomparso (ad eccezione del debito sovrano giapponese a breve termine).

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In letargo da qualche anno, il tradizionale portafoglio 60/40 (che ha portato un rendimento dell’8,8% in dollari dal 1926 al 2021) tornerà in auge? Dipenderà dall’orientamento dell’inflazione nei prossimi trimestri. Possiamo solo affermare che un portafoglio multi-asset ha ora senso e che una delle priorità di un investitore medio sarà quella di (ri)costruire un portafoglio bilanciato e solido che generi reddito e diversificazione. Quanto a “TINA” (There Is No Alternative), non prenderà più parte al gran ballo degli investimenti.

Liz Truss e Alan Greenspan

Ci sono tuttavia alcune riserve, in quanto il mercato obbligazionario non offre un percorso agevole. In effetti, data la complessità e talvolta le incongruenze (ad esempio, i future su tassi di interesse anticipano un allentamento della politica monetaria della Fed quest’anno, mentre la Fed ribadisce il contrario), i rischi sistemici o gli errori delle banche centrali esistono eccome. È opportuno ricordare due eventi di mercato. Da un lato, la riduzione del debito anglosassone, innescata una buona dose di inflazione (che penalizza il potere d’acquisto), un accenno di disavanzo delle partite correnti (che indebolisce la sterlina), il tutto unito al deficit pubblico (che riduce la solvibilità del debito nazionale, ormai pari al 100% del PIL). Il risultato? Il più alto aumento mai registrato dei rendimenti dei titoli di Stato a lungo termine, con il rendimento dei titoli di Stato a 30 anni che è passato dall’1% a dicembre 2021 a quasi il 5% all’apice della crisi a fine settembre. La Banca d’Inghilterra è stata quindi costretta a prendere la decisione d’emergenza di acquistare 5 miliardi di debito al giorno per due settimane.

Come esempio meno recente, ricordiamo anche la “Tequila Crisis”: nel 1994, il ritmo scelto da Alan Greenspan per far risalire i tassi di riferimento e inasprire la politica monetaria ha provocato un forte aumento dei tassi a lungo termine e gravi correzioni sul mercato obbligazionario. Certamente, si potrebbe sostenere che questa fosse in effetti l’intenzione del grande economista: dopo gli eccessi della speculazione sul mercato obbligazionario, farlo “rientrare”, anche a costo di provocare un brutale adeguamento.

Va inoltre sottolineato che uno dei principali vincoli per gli investitori è la difficoltà di una copertura integrale tramite future, swap o opzioni, a causa della complessità della gestione di elementi tecnici come le richieste di margine, il budget di rischio totale e la gestione dell’esposizione.

Questo per quanto riguarda i rischi e i vincoli; per quanto riguarda le prospettive di cui sopra, i mercati obbligazionari risultano più vantaggiosi per gli investitori di quanto non lo siano stati per decenni!

1) Performance Watcher
2) Bloomberg Global Aggregate Euro unhedged
3) Bloomberg Barclays Indices