Ottimisti, pessimisti o realisti sullo sviluppo sostenibile?

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Winston Churchill una volta disse: “Un pessimista vede difficoltà in ogni opportunità; un ottimista vede opportunità in ogni difficoltà.” Un tempo facevamo parte della categoria degli ottimisti. C’è un problema? Affrontiamolo a testa alta! C’è qualcosa che non va nel sistema? Cambiamolo dall’interno! Ma quali sono i risultati raggiunti finora nel campo dello sviluppo sostenibile? Su questo stiamo lentamente diventando più pessimisti. Esaminiamo qualche dato:

– L’intensità di emissioni di carbonio dell’economia è diminuita, ma le emissioni continuano ad aumentare;

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– I progressi sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile sono stati troppo lenti;

– Le questioni relative allo sviluppo sostenibile, come il miglioramento dell’alimentazione, sono complesse e interconnesse.

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Le emissioni di carbonio continuano a crescere

Nonostante le iniziative mirate all’adozione di tecnologie più pulite nella produzione di energia e a dispetto di una pandemia mondiale, che ha abbattuto le emissioni globali per un anno, le emissioni di CO2 sono tornate ai livelli pre-Covid. Le emissioni continuano ad aumentare a causa della crescita economica.

Siamo in ritardo nell’affrontare il riscaldamento globale, ma sappiamo cosa fare. Con la giusta leadership, il mondo può ancora evitare i pericoli del cambiamento climatico. Questo è ancora il messaggio chiave del rapporto IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) del Gruppo di esperti climatici dell’ONU.

Per gli investitori è urgente rispondere al giudizio dell’IPCC secondo cui il settore finanziario non tiene sufficientemente conto del rischio climatico. L’IPCC è giunto alla conclusione che nei prossimi 5-10 anni sarà necessario dedicare un notevole volume di investimenti verso l’energia, i trasporti e le infrastrutture urbane a basse emissioni di carbonio.

Un quadro contrastante sugli SDG

Se guardiamo al di là del cambiamento climatico per soffermarci su una serie più ampia di obiettivi di sostenibilità – gli SDG delle Nazioni Unite – ci troviamo di fronte a un quadro contrastante. Gli SDG sono stati stabiliti nel 2015 e dovrebbero essere raggiunti entro il 2030. Nessun paese è sulla buona strada per conseguire gli SDG entro il 2030, in parte a causa del Covid.

Si tratta di questioni complesse e interconnesse. Ad esempio, sarà difficile raggiungere l’SDG 2.1 (porre fine alla fame e garantire a tutte le persone, in particolare ai poveri e le persone più vulnerabili, un accesso sicuro a cibo nutriente e sufficiente per tutto l’anno), e contemporaneamente conseguire l’SDG 15.1, che mira a garantire la conservazione, il ripristino e l’utilizzo sostenibile degli ecosistemi di acqua dolce terrestri e dell’entroterra nonché dei loro servizi, in modo particolare delle foreste, delle paludi, delle montagne e delle zone aride, in linea con gli obblighi derivanti dagli accordi internazionali, o molti altri traguardi legati al clima e alla biodiversità. Se bisogna coltivare più cibo per soddisfare l’SDG 2.1, diventa molto più difficile conseguire l’SDG 15.1.

Una migliore regolamentazione globale

Negli ultimi anni, il settore finanziario ha preso coscienza della “sostenibilità” e si è concentrato sull’integrazione dei fattori ESG finanziariamente rilevanti nei portafogli al fine di prendere decisioni di investimento più informate. Tuttavia, questo approccio comporta due problemi. La questione della sottovalutazione del rischio climatico, menzionata dall’IPCC nel suo ultimo rapporto, vale anche per altre esternalità come la perdita di biodiversità, le pessime condizioni di lavoro, la cattiva governance e le deboli relazioni con le comunità.

Questo problema andrebbe risolto con una migliore regolamentazione globale, che attribuisca un prezzo a tali questioni e induca gli investitori e le imprese a internalizzare i relativi costi esterni. Senza un intervento di questo tipo, l’integrazione ESG (a patto che non tutti adottino lo stesso approccio o utilizzino le stesse informazioni) potrebbe favorire decisioni di investimento migliori, ma non gioverebbe direttamente allo sviluppo sostenibile.

Passare all’investimento ad impatto

In alternativa, bisogna trovare un modo per andare oltre l’integrazione ESG e passare all’investimento ad impatto, creando strutture in grado di finanziare le migliaia di miliardi di dollari di investimenti necessari (nei mercati emergenti) per creare uno sviluppo sostenibile. Un primo passo è stato fatto alla COP27, con la creazione di un fondo per risarcire i paesi emergenti per perdite e danni causati dalla crisi climatica. Questo fondo, però, deve ancora diventare operativo.

Altri strumenti validi con cui i grandi investitori possono produrre un impatto concreto sono le obbligazioni verdi, sociali e legate alla sostenibilità (“green, social and sustainability linked bond”). L’investitore finale deve esprimere chiaramente il proprio desiderio di ottimizzare non solo la ricchezza, ma anche il benessere. Non siamo ancora arrivati a quel punto: solo una minuscola quota di tutte le masse in gestione viene destinata al finanziamento diretto di progetti aziendali che contribuiscono allo sviluppo sostenibile.

Non abbiamo altra scelta

È importante, di tanto in tanto, fare il punto su ciò che accade nella realtà. Purtroppo, non ci sono molti motivi di ottimismo. Grazie a COP27 siamo avviati a un riscaldamento globale di 2,5 °C, cinque anni fa eravamo diretti verso un aumento delle temperature di 4 °C. Quindi, per concludere con un’altra citazione di Churchill: “Per quanto mi riguarda, sono ottimista: non ha molto senso essere altro.”