Il risparmio italiano ha mantenuto una capacità di tenuta

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Nel 2022 il risparmio ha continuato a mostrare una buona capacità di tenuta, anche se la propensione è calata a seguito del riemergere dell’inflazione. Lo sottolinea la Consob nella propria Relazione annuale in cui sottolinea la urgenza di riconsiderare come riallineare oneri e regolamentazioni, anche fiscali, tra le diverse forme di investimento del risparmio, sanando distorsioni stratificatesi nel tempo e contrastando l’iniquità distributiva che essi determinano. La Autorità di Vigilanza evidenzia come l’attuale architettura è oggi caratterizzata, per la moneta, dall’indipendenza delle scelte delle autorità monetarie volte alla stabilità dei prezzi, introdotta in ottemperanza al principio democratico che considera iniqua la tassa dell’inflazione, perché priva dell’indispensabile approvazione di chi la subisce. Per le attività finanziarie, l’indipendenza delle autorità di sorveglianza non beneficia di un riferimento democratico parimenti solido, anche se in Italia riceve pari dignità istituzionale in forza dell’art. 47 della Costituzione che prescrive di incentivare e tutelare il risparmio “in tutte le sue forme”. Non appaiono perciò del tutto coerenti i diversi trattamenti giuridici riservati alla moneta rispetto alle forme finanziarie che assume il risparmio, e diviene pertanto urgente una considerazione congiunta dei due mercati che superi l’attuale trattamento privilegiato dei depositi bancari protetti in quanto parte della creazione monetaria.

Una spinta del risparmio verso gli investimenti in attività produttive può aiutare poi ad uscire dalla crisi inflazionistica in atto. La via normalmente ricercata per evitare la depressione innata nell’inflazione e nell’uso degli strumenti con cui viene curata, è quella di accrescere gli investimenti pubblici e sollecitare l’iniziativa privata; essi, nelle attuali circostanze, anche considerando i buoni risultati del 2022, sono insufficienti in entrambi i settori.

Una politica che solleciti il risparmio verso investimenti in attività produttive potrebbe consentire un’uscita dall’alto, ossia non a detrimento della crescita reale, dalla crisi inflazionistica in atto. Le autorità precisano che i tempi di convergenza verso l’obiettivo del 2% saranno determinati dai comportamenti delle imprese nel fissare i prezzi dei beni e servizi e dei lavoratori nel richiedere aumenti salariali, per recuperare la riduzione del loro potere di acquisto.

Viene suggerito dalle stesse autorità di puntare sulla crescita della produttività, principio sempre valido che, tuttavia, dipende dall’andamento della domanda aggregata, attualmente calante. Una politica economica che intenda interrompere gli effetti a catena dell’inflazione dovrebbe cercare consenso distinguendo la parte esogena da quella endogena. Negli anni 1970, a seguito dell’aumento dei prezzi dell’energia, fenomeno che caratterizza anche l’attuale processo inflazionistico, furono distinte le spinte di provenienza esterna (la “tassa dello sceicco”, che oggi sarebbe la “tassa di guerra”) e quelle nascenti dall’interno (come fu la “scala mobile” e oggi i “vincoli all’offerta”), impegnandosi ad accettare le conseguenze sui redditi delle prime, con accordi che fissavano l’inflazione “programmata”, e a rimuovere le cause delle seconde, operando sugli strumenti tradizionali.

La Consob ritiene poi ancora valida la soluzione rappresentata dal costruire portafogli le cui attività mobiliari e immobiliari svolgano una funzione protettiva dall’inflazione dei programmi finanziari delle famiglie, a condizione che godano dello stesso trattamento normativo, compreso quello tributario. Anche la libera scelta delle monete di denominazione delle attività di portafoglio contribuirebbe a proteggere il risparmio dalle fluttuazioni dei cambi consuete in periodi di inflazione o di turbamenti geopolitici, come quello in corso. I dati a disposizione confermano la natura protettiva di una siffatta soluzione, nonostante permanga il trattamento discriminante di norme accumulatesi nel tempo, ispirate da ideologie divergenti dallo scopo primario di saldare il risparmio all’attività produttiva e da esigenze contingenti di avvantaggiare una forma o un’altra di investimento. La neutralità di trattamento normativo non esclude che, per fronteggiare contingenze specifiche, si possano fare eccezioni, purché la loro durata sia di breve periodo, al fine di non indurre, come già avvenuto, distorsioni strutturali all’uso razionale del risparmio.

Tra le soluzioni tecniche che potrebbero migliorare la gestione dei portafogli e il funzionamento del mercato finanziario, vi è anche il ricorso all’uso di algoritmi prodotti dall’intelligenza umana “rafforzata” (termine più appropriato di “artificiale”), capaci di seguire gli andamenti anche settoriali dell’economia e, entro certi limiti, anticipare l’insorgere di shock facendo uso delle logiche neurali, di sciame e genetiche; esse, unitamente all’intelligenza “generativa” (come il machine learning e le chatbot), si sono rivelate adatte allo scopo di ben gestire il risparmio, purché regolate da norme che ne impongano l’uso razionale. Per raggiungere questo obiettivo occorre però risolvere il problema di stabilire il trattamento tecnico e giuridico della conservazione e dell’uso dei dati, piuttosto che delle forme che assumono gli strumenti virtuali; per questi resta valido il principio che a essi vada applicata, con i necessari distinguo, la stessa regolamentazione esistente per le attività e passività finanziarie tradizionali. Le innovazioni nel trattamento scientifico dei dati consentirebbero anche di condurre su basi oggettive un’efficace vigilanza preventiva da parte delle autorità, come pure delle imprese, per perseguire razionalmente i loro fini.