Smart working. Scade il 1° luglio il diritto al lavoro agile previsto per i lavoratori fragili

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Scade il diritto al lavoro agile previsto per i lavoratori fragili, sia dipendenti pubblici che privati, e per i genitori con figli sotto i 14 anni, impiegati nel settore privato. Dal 1° luglio 2023, infatti, si tornerà alla disciplina ordinaria per cui il ricorso al lavoro da remoto sarà possibile solo tramite accordo individuale tra datore di lavoro e dipendente, come disposto dal Protocollo firmato dalle parti sociali il 7 dicembre 2021.

Se i privati in smart working potranno fruire di orari flessibili garantendo la loro prestazione lavorativa, “per la Pubblica amministrazione c’è già stato un massiccio ritorno al lavoro in presenza quale normale forma del rapporto di lavoro subordinato”, ha spiegato l’esperto della Fondazione Studi, Antonello Orlando, su donnamoderna.com. L’esperto ha ricordato come il Protocollo rimandi ad una “personalizzazione dello smart working in ogni comparto dell’Amministrazione, attraverso specifici accordi in sede di rinnovo del Contratto collettivo nazionale, in ogni funzione del pubblico impiego”.

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Per quanto riguarda il diritto alla disconnessione, nel settore privato questo è un generico diritto da concordare, mentre nel pubblico sono state identificate tre fasce: operabilità, contattabilità e inoperabilità, che vanno dal tempo di lavoro pieno a quello di totale disconnessione. “Il problema – ha sottolineato Orlando – è che rischiano di produrre confusione nella loro attuazione pratica, specie considerando lo stesso diritto dei pubblici dipendenti a ‘disconnettersi’, come nel caso del lavoro privato”. L’esperto, infine, ha menzionato le criticità nella gestione del lavoro agile dall’estero, ricordando l’impatto che questo può avere sulla fiscalità dei lavoratori e sugli aspetti contributivi e assicurativi e, “quindi, per le coperture in caso di infortuni e ai fini pensionistici”, ha concluso.

Il ritorno al regime di “normalità” dal 1° luglio 2023

La normativa che tornerà in vigore non stabilisce più alcun “pieno” diritto per nessun dipendente a operare in modalità da remoto e sarà il datore di lavoro a poter formulare, eventualmente, alcune proposte al personale ritenuto più idoneo. Se questo è vero, è altrettanto vero che è prevista la cosiddetta “priorità” per alcune categorie di dipendenti che volessero accedere a tale modalità di svolgimento della prestazione. Infatti, i datori di lavoro, che intendono assicurare lo smart working in azienda, dovranno privilegiare le richieste dei dipendenti con figli fino a 12 anni di età (senza alcun limite di età nel caso di figli in condizioni di disabilità), dei lavoratori con disabilità in situazione di gravità accertata, o dei care givers.

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Priorità significa che qualora la possibilità di ricorrere allo smart working sia limitata solo ad alcune risorse e vi sia da scegliere tra un lavoratore incluso nelle categorie “protette” e un altro dipendente qualsiasi, il datore di lavoro dovrà necessariamente preferire il primo.

In caso di accordi sindacali

Una soluzione diversa potrebbe essere adottabile in quelle aziende in cui, nel frattempo, sono stati raggiunti degli accordi sindacali sul lavoro agile aventi ad oggetto, ad esempio, la definizione di particolari categorie meritevoli di tutela. La contrattazione collettiva aziendale potrebbe essere infatti intervenuta per individuare situazioni di particolare disagio e difficoltà che possono essere risolte, o perlomeno gestite con più facilità, ricorrendo allo smart working e assegnando un vero e proprio diritto ai dipendenti interessati. Più in generale, alcuni accordi sindacali prevedono anche per la generalità dei lavoratori o per ampie categorie di essi, il “diritto” di poter ricorrere allo smart working come modalità alternativa di lavoro. Tale fenomeno è certamente positivo perché va a definire, per ogni impresa, una disciplina “su misura”.

Potrebbe essere certamente auspicabile un ulteriore intervento normativo che definisca per alcune categorie un diritto “strutturale” allo smart working. Sicuramente tale soluzione determinerebbe un miglioramento delle condizioni di vita dei dipendenti interessati – e dei loro familiari – senza mettere a rischio la produttività aziendale. Il tutto considerando le molte analisi che confermano, ormai, come le persone in smart working non siano certo meno produttive di quelle che svolgono la medesima attività in presenza.