L’indebolimento del dollaro può favorire i mercati emergenti nel prossimo decennio?

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Storicamente il dollaro e le azioni dei mercati emergenti hanno sempre avuto una correlazione inversa: nei periodi di apprezzamento del dollaro, l’azionario dei mercati emergenti perdeva terreno rispetto ai mercati sviluppati e viceversa. Con il marcato deprezzamento del dollaro negli ultimi mesi, molti hanno iniziato a pensare che il lungo decennio rialzista del biglietto verde possa finalmente concludersi. La domanda è, dunque, se questo contesto può incentivare una nuova ondata di sovraperformance per le azioni dei mercati emergenti. Il dollaro rimane la valuta dominante degli scambi internazionali: circa metà sono denominati in dollari e i pagamenti internazionali avvengono prevalentemente in dollari. Quando il dollaro è solido, le società che operano in economie con valute diverse lo utilizzano per quotare e regolare le transazioni. Questo spinge al rialzo il costo delle importazioni, il che può influire negativamente sui margini delle aziende dei mercati emergenti. Un dollaro solido è inoltre associato con una tendenziale “fuga verso la sicurezza”. In genere nei periodi di incertezza gli investitori si sono sempre rifugiati nella valuta – ad esempio nel 2022 quando la Russia ha invaso l’Ucraina – in ragione della sua liquidità, dello status di riserva, del track record di stabilità economica e politica, della trasparenza e della rule of law.

Guardando al futuro, tuttavia, ci sono segnali di un possibile indebolimento ciclico del dollaro e questa prospettiva in generale favorisce l’azionario dei mercati emergenti. Sotto il profilo strutturale, dopo 15 anni di leadership degli USA a livello economico e di valuta, l’attrattiva relativa della regione rispetto ai mercati emergenti potrebbe ridursi. Ancora una volta questo avvalora la tesi a favore di una diversificazione dei portafogli di investimento rispetto agli USA, verso i mercati internazionali ed emergenti. La storia indica che la riduzione dei tassi di riferimento da parte della Fed dovrebbe coincidere con l’indebolimento del dollaro. Tassi relativi più elevati negli USA determinano un carry interessante per gli investitori. Quando questo differenziale inizia a chiudersi, i rendimenti relativi perdono la loro attrattiva. Storicamente la solidità del dollaro tende a indebolirsi quando i tassi della Fed sono in calo, e viceversa.

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I mercati emergenti hanno superato i mercati USA durante e dopo le recessioni. Dai primi investimenti negli emergenti alla fine degli anni Ottanta, gli USA hanno attraversato sei recessioni tecniche, che si sono tendenzialmente manifestate durante o dopo la fine di un ciclo di tagli dei tassi. Il dollaro si è generalmente rafforzato durante le recessioni – periodi in cui gli investitori cercano sicurezza. Infine, i dati dimostrano che l’attrattiva relativa degli USA rispetto ai mercati emergenti si sta riducendo. Il deficit commerciale USA continua ad ampliarsi, finanziato dal debito estero. Il deficit commerciale degli USA è aumentato del 112% alla fine del 2022, finanziato da prestiti contratti da altri Paesi. Il rapporto debito USA/PIL è aumentato dal 57,2% del 2002 al 129% del 2022 e quasi metà di tutto il debito estero USA deriva da soli cinque Paesi: Giappone, Cina, Regno Unito, Belgio e Lussemburgo.

Le prospettive di crescita economica sono divergenti. Le previsioni di crescita del Fondo Monetario Internazionale (FMI) per i mercati emergenti sono pari a +3,9% per il 2023 e 4,2% per il 2024. Sono invece nettamente inferiori per i mercati sviluppati: 1,3% per il 2023 e 1,4% per il 2024. Anche i cicli economici sembrano divergere: gli USA sono alla fine del loro ciclo e continuano a contrastare l’inflazione, le economie emergenti sono in fase di ripresa. La probabilità di una recessione indotta dalla politica negli USA è aumentata anche in ragione della crisi del settore bancario della regione.

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I mercati emergenti, inoltre, divengono meno sensibili al ciclo del dollaro. L’aumento dei finanziamenti locali e mercati dei capitali più maturi riducono il rischio di debito e il rischio di fuga dei capitali storicamente associati al rialzo del dollaro. Con lo sviluppo dei mercati delle obbligazioni in valuta locale, gli investitori esteri hanno iniziato a partecipare direttamente a tali mercati, così come gli investitori sofisticati di lungo periodo nei mercati emergenti locali come banche, assicuratori e fondi pensione. I mercati del debito in valuta locale hanno quindi registrato un netto rialzo nello scorso decennio e i mercati dei capitali sono maturati per includere strumenti più sofisticati, ad esempio a titolo di copertura dai rischi valutari e di inflazione. Questa tendenza dovrebbe proseguire per i mercati azionari e del debito in valuta locale, con l’ulteriore sviluppo dei mercati dei capitali dei mercati emergenti.

Negli ultimi anni molti mercati emergenti si sono focalizzati sulla diversificazione delle loro economie – promuovendo il consumo interno, investendo in infrastrutture e istruzione e incoraggiando lo sviluppo dei settori high-tech e dei servizi. Cina e India, ad esempio, ora i due Paesi più popolosi al mondo, hanno mercati di consumo interni ampi e in crescita, che rappresentano circa un quarto della spesa al consumo globale. Tuttavia, è importante rilevare che una modifica sostanziale nello status del dollaro quale valuta di riserva mondiale richiederebbe tempi piuttosto lunghi. Secondo i dati del FMI, il dollaro rappresentava il 58% di tutte le riserve delle banche centrali durante il quarto trimestre 2022, l’euro poco più del 20% e il renminbi solo il 2,7%. Come sempre, vale la pena considerare i rischi a carico di questa prospettiva di indebolimento del dollaro e di un potenziale periodo solido per i mercati emergenti.