Valutare il valore delle obbligazioni in una nuova era

-
- Advertising -

Lo stimolo fiscale ha sostenuto i rendimenti reali, ma gli effetti potrebbero svanire proprio quando emergeranno gli effetti ritardati della politica monetaria. Il risultato? Una crescita nominale più lenta e un contesto migliore per le obbligazioni.

Il cambiamento delle condizioni di finanziamento in seguito alla pandemia potrebbe prospettarsi altrettanto significativo di quello che ha caratterizzato il contesto post-crisi finanziaria globale (CFG).

- Advertising -

Allora – La crisi finanziaria globale ha inaugurato un’era caratterizzata dal crollo della domanda di credito da parte delle famiglie, dall’aumento dei tassi di risparmio e da un eccesso di capitale. Risultato: dieci anni di tassi d’interesse reali estremamente bassi, un’inflazione stabile e contenuta e un mercato rialzista delle obbligazioni trainato da un calo dei rendimenti reali.
Ora – La pandemia ha dato il via a una nuova e massiccia espansione fiscale, trainata da una spesa pubblica destinata a diverse strategie industriali, per ecologizzare l’economia e assicurare le supply chain in un mondo multipolare sempre più instabile. Ad oggi, il tasso di risparmio delle famiglie si è dimezzato rispetto al livello pre-pandemia. Risultato: un aumento dei tassi di interesse reali. Eppure, il tasso di inflazione di pareggio a 10 anni è di appena 60 punti base circa più alto rispetto al 2019, mentre l’inflazione dichiarata continua a crollare. Nel frattempo, i rendimenti nominali sono superiori di ben oltre 200 punti base rispetto al livello pre-pandemia.

Un nuovo equilibrio per i tassi di interesse?

È importante avere un’idea di dove possa essere l’equilibrio per i tassi di interesse per poter valutare sia la rigidità della politica monetaria sia l’opportunità di valore per le obbligazioni. Per la Federal Reserve (Fed), spingere i tassi di mercato oltre il tasso neutrale R* non osservabile produce un effetto repressivo per l’economia. Per gli investitori, i rendimenti obbligazionari tendono a superare e a scendere al di sotto del loro equilibrio in armonia con il ciclo economico. Rappresentando un obiettivo mobile nei momenti migliori, il tasso di equilibrio è incredibilmente difficile da quantificare con sicurezza nelle circostanze attuali: l’incertezza è troppo elevata, il ventaglio di fattori che potrebbero influenzare la struttura del tasso di equilibrio è troppo ampio e la gamma di opinioni tra esperti accademici, analisti e investitori è eccessivamente dispersa. Il presidente della Fed Jerome Powell ha ribadito questo sentiment durante il suo discorso a Jackson Hole il 25 agosto scorso. La sua posizione di ripiego rimane quella di mantenere i tassi alti, almeno fino a quando le condizioni non si saranno chiarite.

- Advertising -

In assenza di parametri quantitativi affidabili, l’unica base di cui disponiamo per valutare la posizione dei tassi rispetto al loro equilibrio è il giudizio: cioè giudicare come i mercati e l’economia stanno rispondendo alla struttura dei tassi, che rappresenta la fonte della situazione enigmatica attuale. I tassi appaiono elevati da diversi punti di vista. Tuttavia, l’economia statunitense sembra relativamente resiliente rispetto all’Europa, che sembra essere scivolata nella recessione, e alla Cina, che è sull’orlo di una deflazione sistemica: tutto ciò suggerisce che il livello di equilibrio dei tassi negli Stati Uniti potrebbe essere più alto di quanto si possa pensare. A complicare il giudizio c’è la consapevolezza che gli effetti di una politica monetaria più restrittiva si manifestano con un ritardo lungo e variabile, il che potrebbe significare il contrario, ossia che i tassi di mercato sono al di sopra del punto di equilibrio e che la recessione che molti prevedono sia nella pipeline anche se non ancora concretizzata.

Giudizio numero uno: i tassi sono molto alti e la politica monetaria statunitense è già molto rigorosa.

La Figura 1 mostra il tasso target superiore dei fed fund meno il calcolo della Federal Reserve Bank of Atlanta per la quota più vischiosa del paniere dell’indice dei prezzi al consumo (IPC), al netto degli alloggi, annualizzato negli ultimi tre mesi. La Fed ha riconosciuto che l’inflazione degli alloggi è in ritardo rispetto all’IPC complessivo e dovrebbe ridursi in base alle misure di mercato. Ad esempio, la Federal Reserve Bank of San Francisco ha pubblicato una previsione di base dell’inflazione degli alloggi che raggiunge lo zero nell’aprile del prossimo anno e potrebbe essere negativa nel 2024.1 Il grafico mostra questo parametro del tasso d’interesse reale a breve termine al 4,5%, un livello vicino ai precedenti massimi degli ultimi 50 anni, fatta eccezione per i primi anni ottanta. Questo parametro non tiene conto della contrazione del bilancio della Fed, che secondo il tasso di fondi proxy della Fed di San Francisco equivarrebbe ad altri 184 punti base.

Questa impressione di estrema restrittività monetaria è coerente con la curva dei rendimenti, il collasso della crescita monetaria, il crollo dell’accessibilità delle abitazioni, la stagnazione delle condizioni del credito privato e la crescita zero dei prestiti delle banche commerciali. Si sono verificate anche tensioni bancarie, sebbene l’intervento della Fed abbia impedito che si trasformassero in una vera e propria contrazione del credito.

I tassi di interesse a breve termine appaiono molto elevati, anche per gli standard di Larry Summers, famoso economista americano ed ex Segretario del Tesoro, noto per la sua opinione secondo cui dopo la pandemia R* si sarebbe spostato significativamente più in alto rispetto ai 10 anni successivi alla CFG. Summers ritiene che il tasso neutrale a breve termine, o R*, potrebbe essere vicino al 4%, basandosi sull’ipotesi di un tasso di inflazione del 2,5% e di un tasso di interesse reale dell’1,5%.2 L’ipotesi operativa attuale della Fed, evidenziata nelle sue ultime proiezioni economiche, è che R* sia più vicino al 2,5%.

Giudizio numero due: la politica fiscale statunitense è il motivo principale per cui l’economia interna è più solida di quanto ci si aspetterebbe con una politica monetaria rigorosa.
La politica fiscale statunitense è probabilmente la ragione principale per cui i dati economici generali a livello domestico rimangono solidi nonostante la notevole debolezza dell’economia globale e la rigorosa politica monetaria della Fed.

A nostro avviso, la politica macroeconomica statunitense ha attualmente un piede sul freno e uno sull’acceleratore. La politica monetaria è rigorosa, ma la politica fiscale è stata molto espansiva. Normalmente anticiclico, il deficit di bilancio aumenta in periodi di recessione e si riduce durante le fasi di espansione. Questa volta, invece, è accaduto il contrario.

Il Presidente Biden è riuscito con successo ad approvare enormi programmi di spesa, tra cui l’Inflation Reduction Act e il CHIPS and Science Act. Nonostante la solidità delle condizioni economiche interne, secondo i miei calcoli l’attuale deficit del bilancio federale è aumentato del 3,9% del prodotto interno lordo (PIL) dall’inizio del 2022 fino a raggiungere quasi il 7%. Prima della pandemia, il deficit era pari a circa il 5,4% del PIL, con livelli di occupazione più bassi e un tasso di disoccupazione più elevato.3 Non c’è mai stata un’espansione così ampia del deficit prima di una recessione o con un tasso di disoccupazione così basso come quello attuale. Pur essendo difficile valutare gli effetti moltiplicatori e ritardati di questo stimolo, la sua portata è decisamente notevole. Le entrate del governo federale sono nettamente diminuite rispetto ai picchi pandemici in rapporto al PIL, ma sono ancora ben al di sopra dei livelli del 2019. Se raffrontata al periodo pre-pandemico, la spesa totale è superiore di oltre due punti percentuali rispetto al PIL, ovvero USD 2.100 miliardi di dollari in più e oltre l’1% in più, esclusi i pagamenti degli interessi.4

L’effetto di una configurazione macroeconomica caratterizzata da una politica monetaria restrittiva e da una politica fiscale accomodante è ben noto: alti tassi di interesse reali, economia e mercato azionario robusti e un dollaro forte e solido. L’esempio migliore di questo andamento si è avuto nei primi anni ottanta con la Reaganomics. Un esempio meno estremo si è avuto con il Tax Cuts and Jobs Act del 2017 dell’amministrazione Trump. Il contesto attuale sembra rappresentare l’esempio più recente.

Giudizio numero tre: i ritardi della politica fiscale e monetaria dovrebbero rallentare significativamente l’attività nominale degli Stati Uniti nel corso del prossimo anno.
L’impulso positivo derivante dallo stimolo fiscale svanisce con il tempo, a meno che il disavanzo primario non continui a crescere. I politici non si preoccupano del costo del denaro, ma la pressione per resistere a deficit più elevati è destinata a crescere in seguito al recente declassamento del debito sovrano statunitense. Il margine di manovra fiscale è crollato, vista la rivolta del mercato obbligazionario e gli ultimi dati mensili che mostrano come la spesa pubblica per il pagamento degli interessi stia rapidamente raggiungendo quella per la difesa nazionale. Se la spinta verso un’imposta minima globale sulle società è indicativa, le nuove iniziative fiscali promosse dall’attuale amministrazione a Washington comporteranno un incremento delle tasse.

Sarà importante anche il perdurare della normalizzazione post-pandemica. Un’eventuale risalita del tasso di risparmio in seguito all’esaurimento dell’eccesso di risparmio accumulato durante la pandemia grazie agli aiuti fiscali sarebbe decisamente favorevole alle obbligazioni. Analogamente, la ripresa dei pagamenti dei prestiti agli studenti elimina un ulteriore sostegno fiscale all’economia e ai rendimenti reali.

Nel frattempo, gli effetti ritardati della politica monetaria restrittiva stanno per iniziare a palesarsi proprio quando gli effetti ritardati dello stimolo fiscale potrebbero iniziare a svanire. Il passaggio a una politica monetaria rigorosa richiede normalmente 18-30 mesi prima di manifestarsi pienamente. L’inflazione è normalmente l’ultima a reagire alla stretta monetaria, il che implica che la maggior parte dei guadagni realizzati finora hanno poco a che fare con la stretta monetaria e più con il miglioramento delle supply chain. In queste circostanze, l’inflazione potrebbe scendere molto più di quanto ci si possa aspettare.

Recessione? Niente recessione? Difficile dirlo. Sebbene la curva dei rendimenti sia invertita, è insolito che l’economia statunitense cada in recessione senza un’impennata dei prezzi dell’energia. Questi ultimi sono stati in calo dalla metà del 2022, fino al recente rimbalzo di inizio luglio. L’ipotesi più plausibile è quella di una forte flessione dell’attività economica nominale.

Conclusione: il contesto del mercato obbligazionario è migliorato in modo significativo.
I tassi di interesse reali sono molto elevati e l’inflazione è in rapida discesa. L’affievolirsi dell’impulso della politica fiscale, gli effetti ritardati della stretta monetaria che si manifesteranno nel corso del prossimo anno e un’ulteriore normalizzazione post-pandemica di fattori speciali dovrebbero essere i catalizzatori di un certo ritorno alla media del mercato obbligazionario. Non abbiamo mai pensato che sarebbe stata necessaria una recessione se l’inflazione si fosse normalizzata e la Fed avesse compiuto una svolta in tempo per evitare una stretta. Mentre per molti il mantra dei tassi è “più alti più a lungo”, noi pensiamo che per l’inflazione valga il motto “più bassi più a lungo”. Il modo in cui tutte queste variabili evolveranno in futuro è meno chiaro con l’interferenza proveniente dalla spesa pubblica. I livelli dei tassi d’interesse di equilibrio nell’era post-pandemica potrebbero essere più elevati rispetto al regime post-CFG, ma i tassi di mercato attuali sembrano già estremamente elevati. Inoltre, ci attendiamo che il ritmo dell’attività nominale rallenti significativamente nel corso del prossimo anno. Alla luce di queste prospettive, riteniamo che il profilo rischio/rendimento sia a favore del mercato obbligazionario. Sebbene non siano chiari l’entità e i tempi di un significativo ritorno alla media dei rendimenti obbligazionari, il rischio di rendimenti ancora più elevati in questa fase sembra drasticamente ridotto.

Note finali:

Fonte: Kmetz, A., Louie, S., e Mondragon, J. “Where is Shelter Inflation Headed?,” FRBSF Economic Letter, Federal Reserve Bank of San Francisco, 7 agosto 2023.
Fonte: Summers, L., “Rethinking fiscal policy-global perspectives,” Peterson Institute for International Economics (presentazione), 30 maggio 2023.
Fonte: Calcoli di Brandywine Global sulla base di dati economici attuali pubblicamente disponibili.
Fonte: Ibid.