UE e USA: economia in recupero, ma la strada è ancora lunga

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Sebbene l’inflazione dei prezzi al consumo nell’Eurozona sia scesa al 4,3% a settembre, il livello più basso dall’ottobre 2021, rimane ben al di sopra dell’obiettivo del 2%. Lo stesso vale per l’inflazione di fondo (esclusi i generi alimentari e l’energia), che a settembre si è attestata al 4,5%. Negli Stati Uniti, l’inflazione dei prezzi al consumo si è attestata al 3,7% in agosto, un livello inferiore a quello registrato un anno fa, ma superiore a quello di giugno e luglio di quest’anno.

L’economia continua a mostrare una notevole capacità di recupero. Il mercato del lavoro è estremamente solido, sia negli Stati Uniti, dove il tasso di disoccupazione è inferiore al 4%, sia nell’Eurozona, dove ha raggiunto il minimo storico del 6,4%. La recessione, a lungo ventilata, tarda a materializzarsi, smorzando le speranze di un imminente taglio dei tassi di interesse. Sebbene la Federal Reserve (Fed) statunitense non abbia aumentato ulteriormente il tasso di interesse di riferimento nel corso dell’ultima riunione, ha indicato che il ciclo di rialzi dei tassi non è necessariamente giunto al termine. Il presidente della Fed Jerome Powell ha ribadito il suo impegno a combattere l’inflazione nel lungo periodo, dichiarando di recente che: “Il processo per riportare l’inflazione al target ha ancora una lunga strada da percorrere”.

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Con il decimo rialzo dei tassi consecutivo, la Banca centrale europea (BCE) ha ridotto il divario con gli Stati Uniti a circa un punto percentuale. A metà settembre il tasso di deposito per le banche è stato portato al 4% e il tasso di credito al 4,5%, entrambi livelli record dall’introduzione del contante in euro.

Il mercato obbligazionario si sta sempre più rendendo conto che l’inflazione sarà probabilmente più ostinata del previsto. Allo stesso tempo, le banche centrali stanno riducendo le proprie disponibilità obbligazionarie in piccole quote e i governi stanno emettendo nuovi titoli per finanziare i propri deficit di bilancio. L’aumento dell’offerta a fronte di una domanda contenuta fa scendere i prezzi delle obbligazioni e aumentare i rendimenti. Il rendimento dei Bund decennali, ad esempio, è salito al 2,9% a fine settembre, toccando il livello più alto dal 2011. Tuttavia, è ancora inferiore all’inflazione. I rendimenti dei titoli di Stato decennali italiani hanno recentemente sfiorato il 5%, il che equivale a un differenziale di rendimento di due punti percentuali rispetto ai Bund tedeschi e riflette la crescente preoccupazione per la sostenibilità del debito italiano.

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Negli Stati Uniti, il rendimento dei Treasury a 10 anni è addirittura salito al livello più alto dal 2007. Con un rendimento del 4,8%, contrariamente all’Eurozona, si colloca al di sopra dell’attuale tasso di inflazione e ben oltre l’obiettivo di inflazione a lungo termine della Fed. Le obbligazioni in dollari indicizzate all’inflazione offrono attualmente un tasso d’interesse reale del 2,4% (cioè più 2,4% al netto dell’inflazione). Un tasso così alto non si vedeva da 15 anni.

Sebbene i cali dei prezzi delle obbligazioni non siano così pronunciati come nel 2022, i relativi indici obbligazionari ne hanno comunque risentito quest’anno. I prezzi delle obbligazioni non sono stati i soli a risentire degli effetti dei rialzi dei tassi nel terzo trimestre: i prezzi di azioni e oro hanno subito una perdita di valore di circa il 6% (in entrambi i casi in dollari) dai massimi dell’anno toccati a fine luglio. Con il recente rafforzamento del dollaro USA, la perdita in euro è solo del 2,5% circa, quindi solo leggermente superiore a quella delle obbligazioni in euro ad alto rating.

Dopo nove mesi, tuttavia, il bilancio intermedio delle azioni, con un aumento del 12% dell’indice globale MSCI World Equity, è ancora positivo rispetto alle obbligazioni. Anche il prezzo dell’oro, che di recente è sceso significativamente a causa dell’aumento dei rendimenti reali, alla fine del trimestre mostrava un aumento del 2,6% in euro.