Quattro segnali positivi dalla COP28

Sarah Peasey, Responsabile Europe ESG Investing di Neuberger Berman -
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Nonostante il clima di sfiducia che si respira intorno alla 28ª conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP 28), ci sono quattro aspetti che meritano particolare attenzione.

Riconoscere le sfide – A marzo di quest’anno, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, (IPCC, Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico) il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, ha stimato che le emissioni di carbonio prodotte dall’uomo (cosiddette emissioni “antropiche”) devono diminuire del 45% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2010, per mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2°C, cercando di limitarlo a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali.1 Tuttavia, le emissioni stanno ancora aumentando. Altri gruppi influenti, tra i quali il Network for Greening the Financial System (NGFS), una reta globale di banche centrali e autorità di supervisione che promuove la condivisione di esperienze e delle migliori pratiche in tema di gestione dei rischi ambientali nel settore finanziario, hanno già affermato che, “alla luce della minore probabilità di successo di una transizione non coordinata a livello internazionale”, l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale al di sotto a 1,5°C appare meno verosimile.2 L’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE), invece, prevede che la domanda di combustibili fossili (carbone, petrolio e gas naturale) raggiungerà il suo massimo in questo decennio, per poi calare a causa della diffusione delle energie pulite e dei cambiamenti economici globali. Il recente outlook pubblicato dall’Agenzia Internazionale per l’Energia rileva, inoltre, che la domanda di energia da combustili fossili è ancora superiore di oltre il 30% rispetto alla domanda necessaria per allinearsi allo scenario dell’AIE per raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette entro il 20303. Dimezzarne, quindi, il consumo in sette anni sembra un’impresa ardua, soprattutto se gran parte dei settori essenziali per la produzione di energia pulita per ridurre rapidamente la dipendenza dai combustibili fossili devono far fronte a sfide reali. Ad esempio, i costi dei materiali e la spesa per interessi dei produttori di energia eolica offshore (ovvero dell’eolico in mare aperto) sono aumentati. Le reti elettriche non ammodernate stanno limitando la diffusione delle energie rinnovabili, così come i lenti progressi nello sviluppo di carburanti sostenibili per l’aviazione e di alternative alle batterie agli ioni di litio.

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Politiche sul cambiamento climatico – Fin qui abbiamo parlato di problemi che riguardano solo la scienza e la tecnologia, ma se aggiungiamo la politica a questa equazione, lo scenario diventa ancora più complicato. Di fatto, l’inflazione globale, il conseguente aumento del costo della vita e gli elevati livelli di debito pubblico hanno fatto sì che il cambiamento climatico diventasse un argomento divisivo per la politica internazionale. Ad esempio, i partiti di estrema destra europei hanno cercato di accrescere la loro popolarità escludendo dai propri programmi i provvedimenti contro i cambiamenti climatici. Molti elettori, che sono a favore delle misure necessarie per raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni nette, ritraggono il loro sostegno a queste iniziative quando si tratta di sostenere costi personali aggiuntivi. Nonostante la Commissione Europea avesse in programma di proporre, alla COP 28, un obiettivo di riduzione delle emissioni più ambizioso, tale proposta è stata ritirata a causa della resistenza di alcuni paesi membri, come Italia, Polonia e Ungheria. Pertanto, non si prevede un significativo progresso negli Obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni (NDC, nationally determined contributions). Gli attori politici sono temporaneamente liberati da responsabilità, in quanto gli aggiornamenti degli Obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni non sono incentivati dal primo Bilancio globale dei progressi fatti verso i target di Parigi (Global Stocktake), e anche a causa del fatto che la scadenza per la presentazione dei prossimi Obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni avverrà solamente nel 2025. E questo, a sua volta, riteniamo ridurrà la possibilità di raggiungere un accordo comune sulla progressiva eliminazione dei combustibili fossili.

La minaccia del protezionismo – Tuttavia, questo non implica che non si stia facendo alcun progresso. Si è vero, l’anno che volge a termine è stato caratterizzato da temperature ed emissioni record, ma anche da una spesa per investimenti green altrettanto importante. I 31 Stati membri dell’Agenzia Internazionale per l’Energia stanno investendo quasi 25 miliardi di dollari nel settore energetico, destinati unicamente ad attività di ricerca e sviluppo.

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L’anno scorso, gli Stati Uniti hanno tracciato un punto fermo con l’Inflation Reduction Act (IRA), che potrebbe colmare due terzi del divario tra la politica attuale del Paese ed il suo obiettivo climatico per il 2030. L’Unione Europea (UE), dal canto suo, può contare sul Net Zero Industry Act e sul Critical Raw Materials Act e sta introducendo il Carbon Border Adjustment Mechanism, il primo sistema al mondo di tariffe sulle emissioni di carbonio integrate nei beni ad alta intensità di carbonio importati nella regione, come acciaio, cemento e altri beni. È importante, però, sottolineare che molte di queste misure sono state concepite come un tentativo volto a garantire la sicurezza in termini di materiali, crescita e posti di lavoro legati alla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio. Le preoccupazioni riguardo al successo della Cina nel campo dei pannelli solari, delle batterie e delle auto elettriche, ad esempio, hanno giocato un ruolo chiave. Sebbene questi progressi possano portare benefici a breve termine, a lungo termine si tradurranno in un gioco a somma zero. Le dispute interne all’UE hanno già causato incertezze sui sussidi e su come definire le cosiddette “tecnologie critiche a zero emissioni nette”, già definite invece nell’Inflation Reduction Act statunitense, cosa che potrebbe ostacolare i progressi in Europa. A nostro parere, la competizione protezionistica tra i tre grandi blocchi mondiali rischia di compromettere l’equilibrio tra decarbonizzazione, sicurezza energetica e accessibilità economica nella lotta contro il cambiamento climatico.

Finanziare una transizione equa – Finanziare una “transizione equa” Se già è politicamente arduo giustificare la spesa per contrastare il cambiamento climatico a livello nazionale, figuriamoci quanto sia complicato condividere la responsabilità finanziaria a livello globale. Questa difficoltà si riflette nella crescente frustrazione dei Paesi in via di sviluppo per i lenti progressi dei Just Energy Transition Partnerships (JETP), un meccanismo di finanziamento, istituito per la prima volta in occasione della COP26, che dovrebbe aiutare a incanalare i finanziamenti, destinati a mitigare i cambiamenti climatici, dai Paesi economicamente più ricchi a quelli meno ricchi. Finanziare la mitigazione del cambiamento climatico è senza dubbio impegnativo, ma affrontare il crescente divario finanziario rappresenta una sfida ancor più grande, in particolare mentre gli effetti concreti del cambiamento climatico diventano sempre più evidenti. L’Adaptation Gap Report del 2023 delle Nazioni Unite evidenzia che, nonostante gli impegni presi durante la COP26 di raddoppiare il sostegno finanziario, portandolo a circa $40 miliardi all’anno entro il 2025, i fondi pubblici internazionali destinati al clima nei Paesi in via di sviluppo sono in realtà diminuiti a $21 miliardi nel 2021. Questa cifra è almeno dieci volte inferiore a quella che si stima sarebbe necessaria, ogni anno, per raggiungere gli obiettivi prefissati per il 2030. 4 Durante la COP 27 del 2022, la creazione di un fondo “per le perdite e i danni”, per compensare i Paesi più vulnerabili per le perdite e i danni legati ai disastri del cambiamento climatico, rappresenta uno dei rari successi dell’incontro dell’anno scorso. Da quel momento, i principi del fondo sono stati stabiliti dal Comitato transitorio sulle perdite e sui danni della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, con una proposta di avvio nel 2024. 5 I Paesi in via di sviluppo hanno raggiunto un importante compromesso, accettando che la Banca Mondiale ospiti il fondo solo per un periodo temporaneo. Tuttavia, il fondo è ancora privo di obblighi precisi per i Paesi sviluppati e di obiettivi concreti per quanto riguarda l’effettiva erogazione dei fondi. Sarà necessaria una formazione per attivare questo processo: le questioni relative alla mitigazione del rischio climatico sembrano essere meglio comprese rispetto a quelle relative all’adattamento al cambiamento climatico, e la COP28 offre un’ottima occasione per apprendere e cercare di colmare il crescente divario nell’adattamento.

Quattro segnali postivi – In conclusione, nonostante il clima di pessimismo e sfiducia che si respira intorno alla 28ª conferenza delle Nazioni Unite ci sono quattro segnali di progresso che speriamo di vedere affrontanti durante le riunioni di quest’anno. Il primo segnale riguarda gli sforzi per sbloccare i finanziamenti privati verso le economie in via di sviluppo. La distribuzione di fondi pubblici può presentare delle sfide, tuttavia ci auspichiamo che ci sia la possibilità di riformare l’architettura finanziaria globale e di coinvolgere le parti interessate della comunità degli investitori privati, in particolare mobilitando la notevole capacità finanziaria delle banche di sviluppo multilaterali per liberare flussi di capitale privato. Il secondo segnale riguarda il miglioramento della cooperazione e della diplomazia a livello globale. I risultati del primo Bilancio globale dei progressi fatti verso i target di Parigi (Global Stocktake) potrebbero far emergere un terreno comune su cui costruire un’azione collettiva, compresa una possibile attenuazione delle politiche protezionistiche attuali. Riteniamo che l’obiettivo di zero emissioni nette possa essere raggiunto solo attraverso una coalizione guidata da una varietà di attori che includa governi nazionali, interi settori di mercato e aziende. Il terzo segnale è l’accettazione del fatto che il settore energetico non è solo parte del problema, ma può anche essere parte della soluzione. Il sistema energetico e l’economia globale dipendono attualmente da petrolio e gas. Riteniamo fondamentale che i leader mondiali cerchino di sfruttare le potenzialità di questo settore, come la sua capacità di finanziare nuovi progetti e la sua esperienza nell’integrare nuove tecnologie, non solo per espandere l’esplorazione, ma anche per “neutralizzare” l’attuale sistema energetico. Il quarto e ultimo segnale riguarda l’integrazione della lotta contro il cambiamento climatico con le altre sfide contemporanee. Non possiamo risolvere la crisi della biodiversità senza affrontare il cambiamento climatico, e viceversa. Una maggiore trasparenza nella catena di approvvigionamento può portare a una visione più chiara non solo delle emissioni, ma anche dei diritti umani e del lavoro. La COP28 ha il potenziale per affrontare queste questioni e incoraggiare governi e legislatori a sostenere la divulgazione da parte delle aziende dei rischi finanziariamente rilevanti, come quelli identificati dall’International Sustainability Standards Board (ISSB), l’organismo che stabilisce gli standard internazionali in materia di sostenibilità. Se vedremo progressi in almeno uno di questi quattro punti, forse eviteremo, alla fine, di rimanere delusi dalle possibili conclusioni della conferenza, di quest’anno, delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici in programma a Dubai nei prossimi giorni.