Il mercato del vino italiano nel 2024. I dati di Circana e il parere di Umberto Callegari, CEO di Terre d’Oltrepò
Secondo quanto pubblicato nel suo aggiornamento trimestrale, a proposito del mercato del vino italiano, la società di ricerche Circana, parla di qualche piccola ripresa, non però ancora sufficiente per quanto riguarda le aspettative. Circana è nata dalla fusione tra Information Resources, Inc., meglio nota come IRI, e il gruppo NPD, avvenuta lo scorso agosto. Secondo le ultime rilevazioni la GDO tocca nel 2023 il suo massimo storico in valore a 3020 milioni di euro, +2.5%, per la prima volta da tanti anni. In volume si tratta di 7.4 milioni di ettolitri, in discesa invece del 3.2% rispetto all’anno scorso con un ulteriore “passo” di normalizzazione rispetto all’era del Covid. L’effetto prezzo resta significativo anche nel 2023: +5.6%, prezzo medio al litro a 3.7 euro, pari al 16% sopra il 2019.
“Il 2024 si apre dunque con un rallentamento della domanda” osserva in proposito il sito www.inumeridelvino.it “e probabilmente anche la fine o quasi delle pressioni inflazionistiche che hanno supportato il dati in euro. L’andamento dei volumi sarà dunque importante come ricordarsi di quanto è successo l’anno scorso quando i forti incrementi di prezzi hanno pesantemente influenzato i volumi (-5%).”.
Su questi argomenti intervistiamo Umberto Callegari, CEO di Terre d’Oltrepò. Da anni era alla guida di grandi aziende internazionali all’estero (in ultimo WW Commercial lead di MSFT) adesso è rientrato a casa per cercare di rilanciare la più grande cooperativa vinicola della Lombardia e per risolvere il rebus Oltrepò (territorio dalle incredibili potenzialità mai realizzate).
Intervista a Umberto Callegari
Dr. Callegari come sta? Che sapore ha questa nuova sfida?
“Sto bene grazie. Quando si lavora per amore si ha anche la consapevolezza che stai facendo la cosa giusta. E questo ti fa stare bene indipendentemente da quanto difficile sia la sfida. Riesci ad apprezzare anche la fatica e questo è fondamentale. Al momento ha un sapore di nebbia, di campagna, passione e certamente di grandi promesse. Il tempo e la cura nell’esecuzione saranno fondamentali. Come in un grande vino”.
Un grande salto dalla tecnologia e dalla consulenza strategica al mondo del vino, non trova?
“Sicuramente esistono delle differenze, ma stiamo sempre parlando di aziende manufatturiere. I principi di gestione aziendale restano gli stessi per circa il 95%. Riduci gli sprechi, diminuisci i costi, crea efficienza operativa, ascolta e comprendi il mercato e gestisci la filiera ed i canali di modo da creare la maggiore marginalità con la giusta programmazione. Tutto piuttosto basilare. Credo che la differenza più significativa sia nel modo di lavorare e nella strutturazione del lavoro che nel vino è meno managerializzato e quindi forse meno consapevole di alcuni fondamentali. Il mondo del vino ha tempi e stagionalità differenti. Riturali che sono volte addirittura liturgici. Interessanti da osservare anche se non necessariamente i più efficienti”.
Interessante. Altre differenze che ha notato?
“Molte. La prima è la difficoltà a fare sistema. Non solo in Oltrepò ma in Italia in cui il valore del vino risulta ancora una somma lineare di microsistemi e singoli protagonisti, mentre invece dovrebbe essere un valore esponenziale. Questo genera una lunga serie di inefficienze: dispersione del capitale e degli asset che comporta non solo indebitamento ma anche una diminuzione del ritorno sul capitale investito ed aumento del costo del capitale ad un livello non sostenibile. La tecnologia ed in generale tutte le industrie performanti hanno capito da tempo l’importanza del saper fare sistema.
In secondo luogo, sicuramente esiste molto da fare sulla democratizzazione dell’informazione. Credo che sia responsabilità delle aziende aiutare i produttori a conoscere e comprendere il mercato ed a compiere le scelte corrette anche in ambito agricolo. Ad esempio, la crisi dei rossi è un fatto sistemico e destinato a durare perché nasce da fattori culturali più profondi oltre che dall’aggiustamento ai cambiamenti climatici. Questo deve necessariamente modificare il nostro approccio alla coltivazione ed al consumo. Sono cambiamenti epocali non semplici da cogliere o da accettare, ma occorrerà farlo, attraverso la comprensione puntuale dei fatti che permetteranno scelte razionali e non dettate da campanilismi e opinioni di pancia.”
Come sta andando il mercato del vino italiano?
“Credo che sia un momento di profondo cambiamento che non penso sia corretto definire “crisi” nonostante i 12 mesi di flessione: il commercio mondiale di vino è sceso del 2,1% in termini di valore su base annua fino a settembre 2023, toccando quota 36,5 miliardi di euro; giù anche l’export (-7,2%) che va sotto la “soglia psicologica” dei 10 miliardi di litri (9,9 miliardi), non succedeva dal 2014. Tutte le tipologie di vino, infatti, sono calate in volume, ad iniziare dall’imbottigliato, che continua ad essere il più esportato e che copre il 52% del volume e il 67%. Rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, e, quindi, settembre 2022, il commercio mondiale di vino ha perso 768 milioni di litri e 802 milioni di euro, con un prezzo medio che è aumentato di 18 centesimi.
Come si può quindi sperare di avere successo in un mercato così difficile?
“In un contesto come questo ancora più fondamentale è riuscire a trovare un approccio sistemico cui purtroppo si fatica a giungere per una serie di motivazioni più o meno razionali. Si tratta come dicevamo di fondamentali economici: aumentare la leva operativa e la verticalità della filiera per ridurre costo medio ponderale ed aumentare margini. Questa l’unica via per aumentare la redditività dei soci. In caso contrario l’unica cosa destinata ad aumentare sarà il debito e magari questo potrà far felice qualche banca, ma non certo il settore vinicolo.
Nonostante si sia solo all’inizio del percorso, crediamo che questi dati confermino appieno la bontà del piano di TDO* che, in un momento di forte flessione mantiene un segno positivo motivato dal cambio di modello operativo da sfuso a piattaforma di servizi a filiera integrata e verticale con massima attenzione alla marginalità ed al guadagno dei propri soci. Noi lavoriamo per TDO, ma lavoriamo per il sistema Oltrepò”.
A proposito di Oltrepò, sembra che ci si stia muovendo. Abbiamo letto di cantine Ermes che ha rilevato Cantine di Canneto su cui sembrava esserci anche un vostro interessamento
“L’interessamento era legato ad evitare una dispersione di asset ed un ennesimo aumento del costo del capitale per il sistema Oltrepò. L’azienda di Canneto necessita di grandi lavorazioni che a mio parere rappresentano una spesa non necessaria per il sistema. Ho conosciuto con piacere il presidente di cantine Ermes, Rosario Di Maria ed anche a lui ho espresso la necessità di abbassare il più possibile i costi attraverso la gestione di un’unica piattaforma di servizio che potesse processare il maggiore volume di materia possibile possibile offrendo “operations as a service”. Pur avendo compiuto una scelta differente (non ottimale dal punto di vista del costo del capitale investito nel sistema, ma evidentemente più coerente con il piano strategico di Ermes) abbiamo condiviso l’importanza di trovare un modo di trovare una collaborazione per restare il più aderenti possibili a principi economici che possano beneficiare il sistema riducendo la dispersione di capitale e di asset e solidificare il sistema”.
Si era parlato anche di un piano per una fusione con l’altra cantina sociale di Torrevilla. È vero?
“Sarebbe stato un altro passo corretto dal punto di vista economico e gestionale. Torrevilla è una cantina di circa un decimo delle dimensioni di TDO orientata alla bottiglia ed alla qualità. Pur avendo compiuto le scelte strategiche giuste, si sta, inevitabilmente trovando a fare i conti con la propria dimensione. Il mercato è globale ed è sempre più polarizzato. Esistono solo due alternative (non perché lo dica io ma perché lo evidenzia il mercato): o si crea un brand estremamente forte all’interno di un sistema capace di sostenerlo e vendere il prodotto ad un prezzo alto (il che è piuttosto raro per le cantine sociali, un esempio è l’Alto Adige) oppure ci si aggrega e si diviene il centro di riferimento della regione e del territorio. Questo è vero nelle regioni italiane, ma anche in Borgogna, Nuova Zelanda ed in Champagne. Pur consapevoli di una tensione finanziaria presente nel bilancio di Torrevilla, avevo deciso di cercare comunque la via migliore per il sistema Oltrepò. Avevo quindi scritto una lettera al CDA di Torrevilla chiedendo loro dell’apertura a valutare insieme una fusione per incorporazione. Il CDA ha ritenuto invece di non voler neppure indagare questa possibilità. Sono sicuro che abbiano scelto con il cuore. Mi auguro che si riveli la scelta migliore per i soci. L’economia difficilmente riconosce i sentimenti”
E le performance di TDO?
“Positive. Anche se è presto per dirlo. Nonostante 12 mesi di contrazione continua del mercato, pensiamo di chiudere con una crescita di circa il 10/12%. Crescita che potrebbe essere anche maggiore se le opportunità continueranno a concretizzarsi e se sapremo fare sistema in futuro più di quanto non siamo stati nel recente passato. Stiamo rilanciando in modo importante i canali, HoReCa in testa ma anche GDO e finalmente l’estero inizia a pesare sul fatturato delle bottiglie in modo significativo. Ma abbiamo appena cominciato e la strada è ancora lunga”.
Un pensiero per concludere?
“In un momento come questo, di profondo cambiamento, è ancora più importante riuscire a fare sistema e non disperdere gli asset. Occorre aggregare, non polverizzare. Costruire, non distruggere. Competenza, managerialità e razionalità sono l’unica via che possa permettere al comparto di prosperare”.
* nota: TDO = Terre d’Oltrepò