Gucci e Hermes, la storia di due brand

-
- Advertising -

I recenti risultati di Kering (Gucci) ed Hermes dimostrano che la spesa per il lusso continuerà ad aumentare, ma lo farà in modo sproporzionato per qualche tempo. La domanda dei consumatori più abbienti aumenterà a scapito di quella aspirazionale, che è stata il motore principale nella fase iniziale del periodo post-Covid.

Alcuni brand sono meglio posizionati. Nomi di alto profilo, tra cui Hermes, Cucinelli e Cartier, beneficeranno di una maggiore concentrazione della spesa aspirazionale. Kering, proprietaria di Gucci ma anche di marchi più piccoli come Saint Laurent, Bottega Veneta e Balenciaga, nel gennaio 2022 aveva una capitalizzazione di mercato di circa 85 miliardi di euro, molto simile a quella di Richemont (compreso il marchio Cartier). Kering aveva approcciato Richemont per vedere se fosse possibile una qualche forma di partnership, ma Richemont avrebbe detto di no.

- Advertising -

Oggi, con 81 miliardi di euro, la capitalizzazione di Richemont è superiore di quasi il 68% a quella di Kering. Le ragioni della sottoperformance di Kering sono molteplici, ma il suo marchio più importante, Gucci, è il principale responsabile.

Il relativo declino di Gucci

Sotto la guida dell’amministratore delegato Marco Bizzarri e del direttore creativo Alessandro Michele, Gucci ha raggiunto lo status di mega-brand, triplicando rapidamente le vendite in tre anni fino a superare i 10 miliardi di euro, grazie all’attenzione per i colori vivaci e a un’offerta gender fluid che si è concentrata molto sulla clientela più giovane e aspirazionale. Ma la lentezza nell’innovazione di Gucci ha innescato un prolungato periodo di declino rispetto a molti concorrenti, culminato con l’uscita di scena dell’amministratore delegato e del direttore creativo.

- Advertising -

Nel 2023 i ricavi di Gucci hanno registrato un -2% organico (a fronte di un settore in crescita del 9-10%) con margini EBIT tornati al 33% (erano sotto il 31% nel secondo semestre) e una guidance di crescita in singola cifra per quest’anno, con la probabilità di un’ulteriore diluizione dei margini a causa del tentativo di Kering di reimpostare il marchio.

L’innovazione lenta, il numero eccessivo di punti vendita e la disciplina nel pricing rendono necessario un miglioramento strategico. L’offerta core di pelletteria del marchio, pur essendo forte e ricca di tradizione, è rimasta indietro rispetto ai concorrenti. Gucci non ha una risonanza sufficiente con i consumatori facoltosi perché non ne ha mai avuto bisogno e non è mai riuscita a colmare il divario.

Ha un margine di manovra limitato per gli aumenti di prezzo, poiché è stato molto attivo a partire dal Covid e l’attuale debolezza del brand non consentirà ulteriori aumenti significativi, con conseguente calo della sales density. Non è chiaro se la collezione del nuovo direttore creativo riscuoterà maggior successo, dato che non sarà nominato un nuovo CEO. Il rilancio del marchio deve essere aggressivo e globale.

Gucci ha un potenziale notevole: la catena di approvvigionamento è forte, una tradizione molto solida, la rete di vendita al dettaglio è globale e la generazione di cassa è ancora significativa. Ma al momento non ci sono evidenti catalizzatori a breve termine. Anche se il titolo tratta a uno sconto del 60-65% rispetto ai multipli massimi, sembra una trappola di valore.

Valore di scarsità

La capitalizzazione di mercato di Hermes nel gennaio 2022 era di 156 miliardi di euro e oggi è di 220 miliardi di euro. Le vendite di Hermes nel 2019, al momento del picco di Gucci, erano pari a 6,9 miliardi di euro, ovvero molto meno dei 9,6 miliardi di euro di Gucci, e il suo margine EBIT era del 34% rispetto al 41%, ma il mercato attribuiva già allora un valore superiore a Hermes. Da allora, il divario si è notevolmente ampliato.

Il marchio ha una forte tradizione, che capitalizza al massimo. Le sue fasce di prezzo sono le più alte del settore, anche dopo i recenti aumenti di prezzo di Chanel per recuperare terreno. La distribuzione è selettiva, e non prevede outlet. Il marchio trae vantaggio dal proprio profilo unico nella pelletteria: questa divisione rappresentava il 9% del totale nel 1988, ma oggi è il 41%, e una quota molto più elevata (non dichiarata) della redditività è trainata dall’offerta delle iconiche Birkin e Kelly Bag, con un focus specifico sull’esclusività.

A differenza di molti altri concorrenti, gli aumenti dei prezzi di Hermes dopo la pandemia sono stati più contenuti. Ciò consente a Hermes di continuare ad aumentare i prezzi (8-9% quest’anno) per coprire eventuali aumenti del costo del venduto o l’impatto dei cambi.

Il marchio rimane al top per la clientela più facoltosa: quella più resiliente e di valore. Non ha mai avuto bisogno di innovare se non nella sua rete di vendita al dettaglio, sfruttando la sua brand equity per muoversi tra le categorie in modo determinato (ad esempio, gioielli, bellezza, casa). Il marchio gode di una forte domanda locale a livello globale ed è meno dipendente dalla spesa dei turisti. C’è un solido track record di successo nella costante percezione di rarità dei prodotti più iconici del marchio, che a sua volta stimola il desiderio e genera altri ricavi.

Hermes è stato attento a coltivare la propria immagine rimanendo fedele alla propria tradizione e costruendo la domanda dei consumatori attraverso la percezione della rarità e la costante ascesa come protagonista dello scenario del lusso in assoluto. Questo continuerà a funzionare. Il titolo è scambiato a multipli record per un motivo: 100 euro investiti in Kering il 1° gennaio 2022 (tralasciando i dividendi) valgono oggi 67 euro, ma 100 euro in Hermes valgono 150 euro.